Museo di storia ed arte e Orto Lapidario



Il Civico Museo di Storia ed Arte ha avuto origine nell'Ottocento con l'intento di raccogliere il materiale antico della storia della città, e in seguito si è arricchito con donazioni private di reperti di diverse civiltà.
Nel Museo sono conservati materiali archeologici della preistoria e della protostoria locale, accanto alla collezione egizia, a quelle dei vasi greci, Tarentina e Cipriota, e alle sale dedicate alla civiltà romana e maya da El Salvador.

Nell'annesso Orto Lapidario, che custodisce epigrafi, monumenti e sculture di epoca romana, si visita il tempietto neoclassico con il Cenotafio di Winckelmann.
L'edificio del Museo si affaccia sul Giardino del Capitano, che conserva sculture, lapidi ed iscrizioni di epoca medievale-moderna.
Il primo progetto di un museo con lapidario risale al 1813 su idea dell’architetto Pietro Nobile che immaginò un “Museo provinciale” nel quale riunire le antichità di Trieste e delle terre istriane, da collocarsi nell’ex convento francescano dell’attuale Piazza Hortis. Già dal 1808 il procuratore civico e dotto studioso Domenico Rossetti si stava prodigando per innalzare un degno monumento alla memoria di J.J. Winckelmann, l’illustre archeologo tedesco morto assassinato a Trieste nel 1768. Nel 1825, con l’apertura del cimitero cattolico di Sant’Anna, l’area sepolcrale del colle di San Giusto rimase inutilizzata e venne concessa per l’erezione del monumento e per conservarvi le antichità. Così nel 1833 si inaugurò il cenotafio di Winkelmann e nel 1843 l’Orto Lapidario, curato da Pietro Kandler con il compito di conservare le lapidi di tutta la regione. Nel 1873 fu istituito il “Museo civico d’Antichità”, che nel 1909 fu chiamato “Museo civico di storia ed arte”. Nel 1934 il cenotafio fu spostato nel tempietto in stile corinzio che chiude in basso la prospettiva dell’Orto Lapidario.

L’ORTO LAPIDARIO

Nel 2000 è stata inaugurata la nuova sistemazione dell’Orto Lapidario finalizzata alla migliore conservazione dei reperti e alla salvaguardia dell’ambiente e dell’atmosfera romantica del luogo. E’stato necessario fare una selezione: oltre 100 reperti sono stati spostati da qui e ricollocati nel Bastione Lalio del Castello, dando vita al Lapidario Tergestino, mentre sono rimasti i pezzi aquileiesi e istriani.
L’ingresso è sul sagrato della Cattedrale accanto alla chiesetta di San Michele (o, in alternativa, dall'entrata secondaria di via Cattedrale).
Da qui si scende verso il museo attraversando un giardino a ripiani dove sono esposti sarcofagi, frammenti e lapidi corredati da ampie spiegazioni.
Nel primo ripiano sono visibili materiali romani. Qui è stata ricomposta la base circolare di un monumento funerario i cui pezzi, riutilizzati per opere murarie del campanile della cattedrale, sono stati ritrovati nell’Ottocento. In un espositore poco distante sono conservati i frammenti figurati ritrovati nel 1870 a Ronchi dei Legionari e allora ritenuti parte di un ponte romano eretto sopra il fiume Isonzo, ma probabili resti di un altro monumento funerario.

Il secondo ripiano è caratterizzato dalla presenza di sei archi ciechi ricavati nella parete settentrionale. In essi, nel 1873, furono murate centinaia di iscrizioni e frammenti provenienti da Aquileia (collezione Zandonati) che costituiscono una vasta esemplificazione dell’epigrafia antica. Nella stessa area si possono vedere monumenti e frammenti di monumenti funerari di provenienza aquileiese, ma anche pesi di bilancia, macine, un colatoio per torchio e altri materiali legati alla produzione di olio e farina.
Al terzo ripiano altri archi ciechi ospitano le iscrizioni tergestine che non sono state spostate nel bastione Lalio del Castello per non deturpare l’aspetto ottocentesco del Lapidario. Nelle vicinanze ci sono are e altari funerari, lastre e stele trovate nell’Istria settentrionale, che all’epoca romana fece parte della provincia triestina. Un grande sarcofago proveniente da Fasana, presso Pola, documenta, invece l’Istria meridionale.

WINCKELMANN


Il quarto ripiano è dominato dal tempietto-gliptoteca d’impronta neoclassica con facciata a colonne corinzie eretto nel 1874 per ricoverare il materiale più delicato. Al suo interno il cenotafio di Winckelmann (1833), opera dello scultore Antonio Bosa, professore dell’Accademia di Venezia, e alcune sculture classiche greche e romane che costituiscono il nucleo più antico delle collezioni civiche. Il monumento il cui progetto fu visionato e approvato da Antonio Canova, si compone di un sarcofago, sui cui è il genio malinconico che si appoggia al medaglione col ritratto dello studioso tedesco, mentre nel rilievo della base un filosofo togato, lo stesso Winckelmann, addita le antichità alle personificazioni delle Arti (Pittura, Scultura e Architettura) seguite da Storia, Critica, Filosofia e Archeologia.


Le sculture classiche provengono dall’Accademia degli Arcadi Sonziaci, un circolo di intellettuali fondato a Gorizia nel 1780 e trasferitosi a Trieste nel 1784. Dalla raccolta di libri e oggetti antichi formatasi in quest’ambito hanno avuto origine la Biblioteca civica e il Museo di antichità. Qui sono esposte alcune delle 28 grandi sculture in marmo ereditate dall’Accademia. Si tratta di teste, erme, stele funerarie e rilievi votivi dalle eleganti forme classiche, databili dal V secolo a.C. all’epoca imperiale romana.

IL GIARDINO DEL CAPITANO

Dall’Orto Lapidario si scende al giardino che si estende davanti alla facciata del museo. L’ampia area verdeggiante è nota come Giardino del Capitano, essendo stata di pertinenza del capitano che reggeva la città a nome dell’imperatore d’Austria e dimorava in Castello. L’area è delimitata da mura probabilmente di origine trecentesca. Ma all’interno, dove fu fatto uno scavo, vi sono resti di mura ben più antiche, risalenti al II secolo d.C.


Nel Giardino del Capitano sono raccolte lapidi post-antiche, resti della città medioevale e moderna appartenuti a piazze ed edifici demoliti. Sotto una tettoia è stato organizzato un deposito-mostra del materiale, suddiviso per periodi e area di provenienza: iscrizioni relative alle mura, lapidi commemorative di opere e visite imperiali, materiale scultoreo proveniente da chiese e cappelle demolite, lapidi con iscrizioni sepolcrali cattoliche ed ebraiche. Ma ci sono anche abbondanti resti delle demolizioni degli anni trenta della città vecchia, capitelli, architravi, stemmi, mascheroni. Alcuni materiali provengono dall’Istria. Nel prato le colonne che reggevano l’edificio della Vicedomineria della città del XIV secolo e una serie di vere da pozzo databili dal Trecento al Settecento.

IL MUSEO DI STORIA ED ARTE



L’edificio neoclassico che dal 1925 ospita il Museo di Storia ed Arte in precedenza era passato attraverso diversi proprietari privati. Divenne museo quando i reperti archeologici fino ad allora conservati nel Palazzo Biserini di Piazza Hortis furono troppo numerosi per quegli spazi. Ospitò sia oggetti antichi sia collezioni storico-artistiche e a questo si deve il nome “Museo di storia ed arte”. Ora però la sede è dedicata esclusivamente alle antichità: all’archeologia locale per quanto riguarda i materiali preistorici, protostorici e romani, e di collezione per quelli egizi, ciprioti, greci, magno greci, tarantini, etruschi e maya.  L’esposizione si articola su tre piani. Il piano terra, completamente ristrutturato nel 2000, è dedicato alle collezioni egizie e romane. I reperti romani provengono in gran parte da Aquileia soprattutto in seguito all’acquisto, nel 1870, da parte del Comune, della ricca collezione del farmacista triestino Vincenzo Zandonati (più di 34.700 pezzi).
Nell’atrio è esposta un’importante serie di rilievi di sarcofagi attici prodotti in Grecia tra II e III secolo d.C. e importati allora ad Aquileia.

La sala a destra è dedicata alla scultura romana, esemplificata soprattutto dalla ritrattistica (I secolo a.C.-III secolo d.C.) con una gamma molto ampia di pezzi, che rappresentano l’evoluzione stilistica nella lavorazione dei volti. Ma nello stesso ambiente sono esposte anche alcune divinità raffigurate in pietra, bronzo e rappresentate su lucerne in terracotta. La sala a sinistra dell’atrio espone i manufatti romani di uso quotidiano domestico e gli oggetti dei corredi sepolcrali, brocche, balsamari, coppe, ecc. C’è anche una serie di lucerne che rappresenta una selezione delle ottocento possedute dal museo, visibili nelle cassettiere. Ed anche oggetti in bronzo: dagli “strigili” usati dagli atleti per detergersi alle chiavi, dagli strumenti da toletta ai bisturi per la chirurgia, dagli spilloni alle fibule. Particolarmente interessanti le vetrine dei vetri, delle gemme e degli oggetti d’ambra. La visita della sala si chiude con gli oggetti provenienti dalla necropoli di San Servolo (Socerb, in Slovenia) scoperta nel 1902.
molti oggetti di piccola dimensione in osso: pissidi, cucchiai, conocchie, aghi per cucire, spilloni per capelli. Una vetrina raccoglie i più svariati


Proseguendo nella visita del piano terra si trova l’importante collezione civica di egittologia, che consta di quasi un migliaio di pezzi giunti dall’Egitto nell’Ottocento per mezzo dell’intenso traffico mercantile del porto triestino. Nella grande sala intitolata all’egittologa Claudia Dolzani trovano spazio sia i reperti di grandi dimensioni sia oggetti più piccoli organizzati per classi e tematiche. Si impongono subito alla vista i grandi sarcofagi antropoidi e in particolare quello di Suty-nakht, detto sarcofago Panfili dal nome della famiglia che lo donò al museo nel 1950, caratterizzato dal colore rosa-grigio del granito di Assuan. Assieme al coperchio, esposto separatamente in posizione verticale, pesa sei tonnellate. Meno imponenti ma altrettanto interessanti gli altri due sarcofagi della sala, quello di Aset-resty in pietra bianca, e quello di Pa-di-Amon in legno stuccato e dipinto che ospita la mummia di una donna, collocata nell’Ottocento in sostituzione di quella originale. Uno straordinario sarcofago, anch’esso in legno dipinto, si trova nella saletta vicina protetto da un particolare allestimento. E’il sarcofago del sacerdote Pa-sen-en-Hor, costituito da tre parti (si è conservato infatti anche il secondo coperchio, cioè l’involucro di cartonnage) e completo della mummia ancora intatta. Infatti non è stata mai sbendata e solo le radiografie hanno rivelato che si tratta del corpo di un uomo.
Nella sezione spiccano anche la serie di vasi canopi che servivano a conservare i visceri dei defunti e il Libro dei Morti, una raccolta di testi che doveva servire a percorrere l’aldilà e tornare a vedere il sole. Ma si devono ricordare anche le stele funerarie, un pyramidion proveniente da una tomba a pozzo e le statuine delle divinità in bronzo usate come offerte agli dei nei templi. Presenti in gran numero anche le statuine dei servitori, che si sostituivano al defunto nei lavori agricoli dell’aldilà, così come si possono vedere numerosi amuleti (ciondoli a forma di scarabeo ad esempio), ornamenti che fornivano protezione tanto in vita quanto dopo la morte.

La terza sala della sezione presenta l’Egitto dopo i faraoni, prima conquistato da Alessandro Magno (325 a.C.) e poi da Augusto (32 a.C.) che ne fece una provincia dell’Impero. Anche qui si vede un sarcofago con una mummia di vecchio completamente sbendata, segno della continuità dei rituali funerari dei faraoni. Nella vetrina statuette di argilla che in questo periodo sostituiscono quelle più antiche in bronzo. Il percorso si chiude con alcuni oggetti che documentano l’Egitto copto, cioè l’epoca della diffusione del cristianesimo ((IV-VI secolo d.C.) e l’Egitto islamico, la fase seguita alla conquista araba (688 d.c.).
Il primo piano del museo è riservato alla preistoria e protostoria locale, alla ceramica greca e a quella maya da El Salvador.

Il percorso inizia dalla sala della Preistoria o età della pietra che nell’ambito locale è riconosciuta tra 500 mila anni fa e 3000-2000 a.C.: sono esposti strumenti litici, ceramici e di osso rinvenuti in ripari e grotte del Carso triestino.
Il Paleolitico medio (60-35 mila anni fa) è esemplificato dai materiali provenienti dalla Grotta Pocala di Aurisina. Il sito più importante del periodo successivo all’ultima glaciazione detto Mesolitico (8-5 mila a.C.) è la Grotta Azzurra di Samatorza. Il Neolitico (5-3 mila a.C.) e l’Eneolitico (3-2 mila a.C.) segnano il passaggio a un’economia produttiva incentrata sulla coltivazione e l’allevamento del bestiame. Sul Carso sono documentate molte presenze nelle grotte da dove provengono frammenti di cucchiai, piatti e ollette in ceramica.

Nella sezione protostorica o dell’età del bronzo e del ferro (dal II millennio a.C. alla romanizzazione, II-I secolo a.C.) si trovano materiali rinvenuti per la maggior parte negli scavi compiuti nei castellieri protostorici e nelle necropoli del Carso triestino e istriano e nell’area dell’alto Isonzo da Carlo Marchesetti (1850-1926) studioso di formazione naturalistica, direttore del Civico Museo di Storia Naturale di Trieste, che pose le basi della ricerca preistorica nella regione.
La prima sala è dedicata ai castellieri del Carso, centri fortificati insediati sulle alture, da cui provengono soprattutto reperti ceramici. Di grande interesse i corredi delle tombe a incinerazione provenienti dalle necropoli di Brezec e San Canziano del Carso, Parenzo, Redipuglia, Caporetto. I materiali si differenziano a seconda dell’area geografica e comprendono sia armi in bronzo, appartenute a ricchi guerrieri, sia ornamenti (spilloni, fibule, anelli, braccialetti) sia vasi in ceramica. Un deposito votivo di oggetti in bronzo è stato trovato nelle grotte delle Mosche e delle Ossa a San Canziano del Carso.
La seconda sala è dedicata allo straordinario sito di Santa Lucia di Tolmino (Most na Soci) sull’alto Isonzo in cui sono state trovate 7000 tombe a incinerazione, ricchissime di corredo, databili tra il VIII e il IV secolo a.C..
Continuando il percorso si trovano i materiali della seconda età del ferro fino alla romanizzazione, periodo in cui il popolamento si concentra su alcuni castellieri della costa. Degno di nota il “Tesoretto di San Canziano del Carso composto da quasi mille oggetti, di cui quasi la metà in ambra. 

Il secondo piano del museo è stato recentemente rinnovato (2016) e riaperto alla visita dal mese di agosto. Il nuovo allestimento valorizza in particolare la collezione dei vasi greci, un patrimonio eccezionale di cui fino a poco tempo fa era esposta solo una piccola parte. 

I vasi provengono da varie collezioni private, Ostrogovich, Oblasser e, soprattutto, da quella di Carlo d’Ottavio Fontana ricco mercante triestino appassionato di numismatica e di archeologia. La sua collezione comprendeva più di 600 vasi.
Qui è esposto anche il favoloso rhyton d’argento sbalzato con rifiniture a bulino, niello e dorature, un vaso per libagioni rituali, configurato a testa di giovane cerbiatto. Sul collo c’è una scena mitologica con Borea che rapisce Orizia, tra Atena ed Eretteo. Databile alla fine del V secolo a.C., viene attribuito a una bottega attiva nelle colonie greche sulla costa del Mar Nero.


Dove: Piazza della Cattedrale 1 - tel. 040 310500 / 040 308686, fax 040 300687
e-mail: cmsa@comune.trieste.it
Orari e biglietti: informazioni aggiornate qui

Come: autobus 24 (partenza dalla Stazione Centrale ogni 40 minuti)












Commenti

Post più popolari