Lapidario Tergestino

IL LAPIDARIO TERGESTINO: FRAMMENTI DELLA TRIESTE ROMANA


Il Bastione Lalio del Castello di San Giusto ospita dall’aprile 2001 il Lapidario Tergestino che custodisce 130 reperti lapidei e mosaici romani, provenienti dalla città di Trieste e fino ad allora conservati nell’Orto Lapidario e nel Civico Museo di Storia ed Arte di via della Cattedrale. Questi materiali sono i documenti che, accanto alle notizie archeologiche, permettono di dare un volto alla Tergeste romana: riuniti e presentati in sezioni che li riaccorpano per area di provenienza, forniscono le condizioni ottimali per una rilettura, anche in seguito alle nuove attribuzioni e scoperte.
Le prime due sale sono dedicate ai monumenti dell’area capitolina, mentre la terza grande sala è suddivisa in zona sepolcrale, area sacra e materiale dal teatro romano di Tergeste. Conclude la visita la sala con i mosaici provenienti dalla villa di Barcola.

SALA A - AREA FORENSE

La SALA A comprende alcuni dei monumenti onorari più noti e dalle dimensioni molto considerevoli.
Il percorso inizia prima dell’ingresso della sala con due lapidi importantissime provenienti dal territorio tergestino: la base per la statua dell’Imperatore Ottaviano Augusto, proviene da San Canziano del Carso nei pressi del punto dove si inabissa il fiume Timavo (dell’anno 14 d.C.; n. 2) e la lastra che ricorda le controversie innescatesi sul progetto di una strada che doveva passare per il territorio dei Rundictes (popolazione indigena il cui nome ha lasciato traccia nel toponimo italiano Roditti, vicino al centro di Matteria, oggi in territorio sloveno) ma che il console Gaio Lecanio Basso aveva tentato di far spostare a vantaggio dei propri possedimenti (dell’anno 39-43 d.C.; n. 1).
Le prime iscrizioni legate alla città di Tergeste sono quelle che, originalmente affisse presso le porte urbiche, ricordavano la costruzione delle mura e delle torri fatte erigere per volontà di Ottaviano (il futuro imperatore Augusto) nel 33-32 a.C. (n. 3-4).
Seguono due coronamenti piramidali di are raffiguranti a basso rilievo i simboli delle tre principali divinità dell’Olimpo romano: sulla faccia principale c’è l’aquila di Giove, con i fulmini tra gli artigli e corona vegetale; a destra, il pavone di Giunone tra due corone e a sinistra, lo scudo squamato con la testa della Medusa, al centro, con l’elmo e due uccelli notturni, simboli di Minerva. Il retro è grezzo poiché originalmente non visibile, per essere stato addossato a un muro o in una nicchia (n. 5 e 6).
Alta più di due metri, la base per la statua equestre ricorda l’illustre cavaliere Gaio Calpetano Ranzio Quirinale Valerio Vesto, personaggio ambizioso, irrequieto e turbolento che, seppur non nativo di Tergeste, ottenne in questa città meriti tanto grandi da vedersi dedicare dalla plebs urbana un così insigne monumento onorario, probabilmente per un atto di evergetismo (finanziamento a proprie spese di un’opera di pubblica utilità) (n. 7). Questa base venne ritrovata negli scavi dinanzi al Propileo (ingresso monumentale) che si può vedere all’interno del Campanile della Cattedrale di San Giusto.
Di fronte è esposto, purtroppo privo di basamento e coronamento, il dado centrale della base del monumento equestre dedicato dalla plebs tergestinorum al concittadino Lucio Fabio Severo (n. 11). Questo monumento è un’importantissima testimonianza epigrafica riportando, sul fianco destro, in versione integrale il verbale della seduta della curia (consiglio municipale) durante la quale venne deliberato di erigere nel posto più frequentato del foro il monumento con statua dorata a Fabio Severo. Egli distintosi nella carriera giuridica raggiunse il rango senatorio e operò per la sua città patrocinando le cause dei tergestini presso l’imperatore Antonino Pio (138-161 d.C.). Tra queste la più importante fu la concessione in virtù della quale gli uomini migliori tra i Carni e i Catali (popolazioni del Carso triestino) poterono acquisire la cittadinanza romana, così contribuendo agli oneri che gravavano sulla classe dirigente.
Nella nicchia della parete di fondo è visibile l’architrave di porta con l’iscrizione che ricorda Publio Palpellio Clodio Quirinale. Rievoca la sua brillante carriera militare fino all’ammiragliato della flotta di stanza presso il porto di Ravenna, ma non fornisce alcuna indicazione per risalire all’edificio a cui l’architrave appartenne e che Calpetano deve aver finanziato: gli studiosi ipotizzano che si tratti del tempio capitolino, o più probabilmente della primitiva basilica civile (metà I sec. d.C.; n. 9)

SALA B - AREA FORENSE BASILICALE

La SALA B riunisce le iscrizioni imperiali che, purtroppo frammentarie, ricordano l’intervento di Adriano (n. 20), di Antonino Pio (n. 21) e di Marco Aurelio (?) (n. 22) nell’erezione di edifici pubblici nell’area del colle di San Giusto. Accanto si trovano una base per la statua di Iulia Augusta (la moglie di Augusto o la figlia di Tito) (n. 19) e un ritratto di dimensioni più grandi del vero (n. 18) che dopo aver raffigurato Nerone, venne rielaborato per onorare il suo successore Vespasiano.
Intorno statue acefale o frammentarie e basi con dedica a illustri personaggi dell’élite cittadina.
Nella sala sono raccolti inoltre i materiali provenienti dalla Basilica civile: il grande edificio colonnato che si estende ai piedi del Castello sulla piazza della Cattedrale. L’edificio, sede del Tribunale e forse della Curia, ebbe una primitiva fase costruttiva nell’età di Claudio (metà I sec. d.C.) di cui rimangono i fregi a girali vegetali che erano posti sopra al colonnato (n. 26-28). Alla metà del II secolo l’edificio venne ingrandito e monumentalizzato: di questa fase rimangono frammenti di ben sei basi (n. 33-37) di statue onorarie a Quinto Baieno Blassiano: cavaliere tergestino che raggiunse la carica di Prefetto dell’Egitto e che evidentemente finanziò questi lavori; due dei monumentali volti di Giove e Medusa che decoravano i plinti (blocchi architettonici posti sopra le colonne) della basilica (n. 30 e 32) e un frammento della balaustra decorata con putti che reggevano festoni (n. 31).

SALA C - AREE SEPOLCRALI

Saliti alla grande SALA C si incontrano dapprima i monumenti dalle aree sepolcrali. Sono suddivise per zone di provenienza: quelle disposte a occidente lungo la principale strada che da Tergeste portava ad Aquileia; quelle a oriente lungo la strada per l’Istria e quelle che erano situate lungo la via litoranea che passava tra la città e il porto. Sono qui riaccorpati i monumenti, le stele, i cippi, i sarcofagi e i frammenti provenienti dalle necropoli, ricomponendo l’antico percorso.

Si segnalano per la ricchezza decorativa l’ara con l’epitafio di Lucio Vibio Valente (n. 47) e il sarcofago di Getacia Servanda (n. 95). La stele di Lucio Vibio Pollione e sua moglie Floria Hillara mostra i busti-ritratto dei due coniugi come fossero affacciati alla finestra della loro casa (n. 71). La stele degli Ostili (n. 88) porta la raffigurazione di alcuni panni stesi su un fornello in una tintoria, come riferimento all’attività della famiglia; così la nave con vela quadra scolpita sul monumento di Publio Clodio Cresto (n. 69), evoca probabilmente il veicolo delle sue fortune commerciali. Tre rilievi mostrano trofei militari con armi e armature, un barbaro in catene e una donna affranta in lacrime (n. 70), che decoravano importanti mausolei. Le iscrizioni menzionano anche alcuni militari come Caio Velizio della XX Legione (n. 77) e il pretoriano Sesto Vibio Cordo della III Coorte di stanza a Roma (n. 52).

SALA C - AREE SACRE

Segue il settore dedicato ai luoghi di culto e alle divinità: sono presenti dediche a Giove Massimo Dolicheno, a Silvano, a Ercole o a Eracura e a Minerva. Ma soprattutto importanti sono i bacili in pietra o labella (n.104-106) con la dedica alla Bona Dea, il cui tempio è stato individuato in scavi del 1910 in via Santa Caterina. Dallo stesso tempio proviene anche la lastra che ricorda come l’edificio sia stato fatto erigere con decreto decurionale, a spese pubbliche, da Lucio Apisio e Tito Arruntio (n. 107), nella seconda metà del I secolo a.C.

Una curiosità è data dalle notizie di ritrovamento dei cinque frammenti dell’architrave (n. 114) con dedica alla Mater Magna o Cibele: sono stati tutti rinvenuti separatamente in luoghi diversi della zona tra il Teatro romano e piazza A. Hortis, riutilizzati come materiale da costruzione. Il sacello dedicato alla dea si trovava probabilmente nella zona dell’Arco di Riccardo.
Accanto alle iscrizioni alcuni rilievi mostrano gli dei Priapo, Attis e forse un Genio della città con cesto ricolmo di frutta; al centro della sala un Onfalo (n. 113), immagine della sacra pietra ombelicale, centro della terra, che si trovava nel tempio di Apollo a Delfi, a cui si avvinghia con le sue spire il lungo serpente Pitone.

SALA C - TEATRO

Segue l’eccezionale materiale rinvenuto nello scavo del Teatro Romano con la spettacolare serie delle statue di divinità, che decoravano il fronte della scena architettonica: Venere (n. 117), Bacco (n. 118), Apollo (n. 119), Minerva (n. 120), Igea (n. 121) e Esculapio (n. 122). Per l’edificio del teatro è riconosciuta una fase iniziale alla fine del I secolo a.C., una prima ristrutturazione sotto Nerone e una seconda inquadrabile tra la fine del I e l’inizio del II secolo d.C.
Esculapio
Sono presenti anche frammenti di una statua imperiale (n. 123) e un ritratto di Tito (che in origine doveva raffigurare Nerone, ma è stato riutilizzato) (n. 124). Una statua di un Sileno ebbro (n. 125) e una di un Giovinetto (n. 126) dovevano abbellire il fronte del palcoscenico, dal quale provengono anche alcuni frammenti delle lastre di rivestimento in marmo rosso, che erano decorate con volute vegetali popolate da uccelli (fine del I sec. a.C.; n. 127).
Al centro il ritratto di un personaggio in corazza e manto (n. 116): vi si è voluto riconoscere il cavaliere tergestino Quinto Petronio Modesto il cui nome è ricordato da una serie di iscrizioni (n. 115) che, murate nel teatro, ricordavano come egli intervenne, con consistenti lavori, nella ristrutturazione dell’edificio nel 102-106 d.C.

SALA D - VILLA DI BARCOLA

L’esposizione è arricchita dalla SALA D dedicata ai mosaici romani della villa di Barcola trovati tra il 1887 e 1891 negli scavi di una lussuosa villa marittima databile, nella sua prima fase edilizia, alla tarda età repubblicana (seconda metà del I secolo a.C.), ampliata in tardo periodo augusteo (inizio I sec. d.C.) e in seguito ristrutturata e monumentalizzata nei successivi cinquant’anni.
La villa si snodava lungo la riva del mare per una lunghezza riconosciuta di circa 300 metri e si articolava in una zona di rappresentanza, una residenziale appartata, un giardino e alcune strutture aperte sul mare, collegate a ambienti termali e di servizio.
Nei mosaici predominano i motivi geometrici in bianco e nero, ma in combinazioni sempre diverse, e non mancano raffinati tessellati neri, più raramente bianchi, in cui sono inseriti frammenti di marmi e ciottoli dai colori e venature policrome.
Accanto ai mosaici è collocata anche la statua in marmo, che venne ritrovata negli scavi della villa, rappresentante l’Atleta - il cosiddetto Palestrita - copia di età neroniana (metà I sec. d.C.) del famosissimo Diadumeno, statua in bronzo opera dello scultore greco Policleto della metà del V secolo a.C.
Una serie di tabelloni illustra la storia dei ritrovamenti cittadini e propone le più accreditate ipotesi di interpretazione dei dati finora conosciuti. Le didascalie riportano per ogni singolo reperto le notizie sul rinvenimento, la datazione, la trascrizione del testo con relativa traduzione e, ove necessario, un breve commento critico.

Dove: Piazza della Cattedrale 3 - tel.040-309362 fax.040-6754065, e-mail: cmsa@comune.trieste.it
Orari e biglietti: informazioni aggiornate qui
Come arrivare: autobus n. 24 (partenza dalla Stazione Centrale ogni 40 minuti)

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