Museo Sartorio

Sull'area, detta "dei Santi Martiri", dove sin dal Medioevo vi erano i terreni e i complessi appartenuti agli ordini religiosi, sorse alla fine del Settecento la villa che poi sarebbe divenuta Civico Museo Sartorio.

Il sito fu di proprietà di diverse famiglie quali Camondo, Salem, Cassis Faraone, Fontana. Nel 1836 Giuseppina Fontana, moglie di Pietro Sartorio, risultava l’unica proprietaria. Nel 1905 la villa passò al figlio Giuseppe; nel 1911 a Paolina Sartorio e Anna Sartorio Segrè, rispettivamente sorella e nipote di Giuseppe; nel 1923 ad Anna Sartorio Segrè che rilevò la parte della zia Paolina.

Nel 1943 la villa fu requisita dai tedeschi; passò poi all'esercito partigiano del maresciallo Tito e infine al Governo Militare Alleato. Nel 1946 Anna Sartorio morì lasciando la villa con tutto il suo arredamento e il patrimonio artistico al Comune di Trieste con vincolo di inalienabilità, affinché diventasse Civico Museo Sartorio.

Il Civico Museo Sartorio si presenta come una raffinata abitazione borghese dell’Ottocento, qualificabile con la definizione di “casa museo” dove gli arredi, le opere d’arte, i cimeli e gli oggetti di uso quotidiano sono parte del percorso espositivo.

Oltrepassato il grande cancello di ferro, si entra in un piccolo portico a tre archi, sotto il quale vi è un Nudo femminile in marmo, che introduce alla biglietteria/bookshop, originariamente abitazione del custode. Poco più in là, una breve scalinata, affiancata da due pilastri in pietra, conduce all’ampio giardino, sul quale prospettano la facciata principale della villa, la cappella e la serra. Proseguendo, invece, lungo il viale pavimentato in lastre di pietra arenaria, si giunge sotto un portico che immette all’entrata vera e propria del Museo.

L'aspetto attuale della villa è il risultato dell'intervento operato nel 1838-1839 dall'architetto Nicolò Pertsch, che connotò la facciata principale sul giardino e quella postica con i caratteri desunti dall'architettura neoclassica allora in voga. Numerosi interventi vennero attuati nell’ 800 anche all’interno dell’edificio con la costruzione di ambienti supplementari che oggi corrispondono alla biblioteca e alla sala neogotica e a quella sottostante coperta a volta; queste ultime si legano alla piccola cappella. Nel 1839, inoltre, i Sartorio fecero progettare dall'architetto Francesco Scalmanini l'ingresso principale e il piccolo edificio per il custode che servirà anche all'abbellimento della contrada stessa. Nel 1926 l'originaria scala in pietra fu sostituita con quella attuale, più leggera, realizzata in legno. Tra il 2004 e il 2006 l'edificio è stato restaurato grazie al generoso finanziamento della famiglia Costantinides di Trieste.

PIANO TERRA

Il piano terra ruota attorno al Salone da caccia, caratterizzato da un grande camino.
Da qui si entra nelle quattro sale recentemente riallestite (2013) per ospitare i cosiddetti "Capolavori dell'Istria", ventuno opere  di proprietà statale provenienti da musei e chiese di Capodistria, Pirano e Portorose, messe in salvo nel 1940 in luoghi sicuri del Friuli, insieme alla maggior parte del patrimonio artistico dell’area istriana e friulana, in attuazione delle leggi emanate per la protezione del patrimonio nazionale in caso di guerra. Le opere furono portate a Roma nel 1948 e conservate fino al 1972 nel Museo Nazionale Romano, da cui furono trasferite a Palazzo Venezia. Tra il 2002 e il 2004 sono state restaurate e nel 2005 sono state esposte in una mostra intitolata “Histria”, ospitata al Museo Revoltella. Dal 2006 sono conservate al Museo Sartorio. Rappresentano un campione della produzione artistica veneziana nei suoi secoli più fecondi dal Tre al Settecento, con alcuni momenti particolarmente qualificanti come le opere su tavola di Paolo Veneziano e di Alvise Vivarini, il telero di Vittore Carpaccio e la pala d’altare di Giambattista Tiepolo.
Il restauro ha permesso non solo il pieno recupero di tutte le opere ma anche la messa a punto della loro cronologia. Si possono citare ad esempio la nuova proposta di attribuzione per l’Annunciazione della chiesa di S. Stefano di Pirano, riferita ora a Matteo Ponzone e per il Cristo dolente già presso il Pio Istituto Vittorio Emanuele III di Pirano, assegnato a Francesco Terilli.

Nella vicina biblioteca, composta da tre ambienti, si  conservano circa seimila volumi finemente rilegati che rispecchiano gli interessi culturali della famiglia: letteratura italiana e straniera, viaggi, manuali di agricoltura e giardinaggio, temi massonici. Le stanze sono ricche di dipinti, tra cui scene veneziane del ‘700, o, come nella seconda sala della biblioteca (dominata dai due  globi del Seicento dell’olandese Wilhelm Janszoon Blaeu), vedute ottocentesche di città italiane ed europee e di sculture. Nella terza sala dipinti di Francesco Zugno, Giovanni Battista Lampi, e altri autori
del ‘700.

Il percorso di visita al piano terra conduce poi alla cucina, preceduta da una sala in cui spiccano dipinti di Giovanni Pagliarini (Mangiatore di pasta e fagioli e Ostricaio) e di Francesco Malacrea  (Natura morta con fagiano) in mezzo a  vari dipinti di genere. La cucina è una ricostruzione del 2001, basata su oggetti e strutture originali e molti utensili giunti attraverso successive donazioni.
Attraverso il Giardino d’inverno, dove è collocato un gruppo di grandi gessi, si raggiunge una vasta sala adibita a Gipsoteca-Gliptoteca dove è esposta una ricca collezione scultorea: più di 500 pezzi  di diversa tipologia e provenienza (bozzetti di monumenti e tombe, figurine, busti) raccolti dalla fine dell’Ottocento fino ad oggi. Un tempo buona parte della collezione, specialmente i ritratti dei personaggi illustri, era esposta nel Civico Museo di Storia Patria di via Imbriani. Gli esemplari più antichi della collezione di gessi dei Civici Musei di Storia ed Arte sono quattro calchi di opere di Antonio Canova, realizzati dall’artista stesso: il busto di Napoleone Bonaparte, i ritratti di Carolina Murat Bonaparte e Gioacchino Murat (le cui realizzazioni in marmo sono oggi perdute) e l’autoritratto di Canova. Vanno ricordati anche i numerosi bozzetti presentati ai concorsi per i monumenti a Domenico Rossetti, Ferdinando Massimiliano d’Asburgo, Guglielmo Oberdan, di cui vennero realizzati solamente quelli vincitori. Sono bene rappresentati, attraverso bozzetti e opere compiute, quasi tutti gli scultori triestini attivi tra Otto e Novecento.

SOTTERRANEO
Da questa sala si raggiunge in ascensore il sotterraneo, dove si può visitare una bella sezione dedicata alla ceramica, che copre un arco di tempo molto ampio, dal Medioevo all’Ottocento.  Il vasellame esposto proviene dalle più importanti manifatture italiane e si conclude con esempi di produzione inglese e triestina. Si tratta di circa duecentocinquanta pezzi scelti tra i moltissimi di proprietà dei Civici Musei di Storia ed Arte, in massima parte frutto di lasciti di alcune famiglie triestine, quali Sartorio, Morpurgo, Currò e Rusconi, e solo in minima parte acquistati e donati occasionalmente. L'esposizione inizia con alcuni esempi di cosiddetta maiolica arcaica del ‘400 prodotta a Orvieto ed alcuni straordinari manufatti provenienti da Faenza; seguono boccali eseguiti a Pesaro e a Deruta, caratterizzati dalla decorazione a grottesche. Si passa poi all'esemplificazione delle manifatture pisana e di Montelupo con soli tre pezzi, mentre accanto è rappresentato il Veneto, la sua produzione dal XV al XVIII secolo, con il culmine raggiunto dalle officine di Bassano e Nove.
Il resto dell’Italia trova spazio nelle vetrine successive: le forme sia semplici che complesse, dominate dalla monocromia del blu, della produzione ligure; i rinomati manufatti della famiglia Grue di Castelli d’Abruzzo; i piatti e gli albarelli dai motivi geometrici di ispirazione araba dell’Italia meridionale.
A conclusione le ultime quattro vetrine espongono settanta notevoli esemplari della ceramica triestina degli ultimi tre decenni del Settecento. Si tratta di vasellame in terraglia fine, caratterizzato dall’equilibrio e dall’armonia delle superfici eburnee, lisce e prive di cromatismi, dai delicati ornati a traforo e dalla nitidezza dei rilievi.

PRIMO PIANO

Al primo piano si incontra subito la sala da pranzo Biedermeier con la tavola apparecchiata e, sulla credenza-piattiera, il pregiato servizio in porcellana Meissen (decorato secondo il gusto tardo rococò), dono del re di Sassonia Federico Augusto II a Giovanni Guglielmo Sartorio (console di Sassonia a Trieste) in occasione delle sue nozze. 
Da notare le preziose sovrapporte a tempera di Giuseppe Bernardino Bison (Palmanova 1762 – Milano 1844) e due importanti dipinti La bancarella del pesce e La bancherella della verdura attribuiti a Francesco Polazzo (Venezia 1683 – ivi 1753); inoltre due nature morte del XVII secolo, di scuola napoletana e fiamminga. Segue il Salotto degli antenati, che riunisce i numerosi ritratti ottocenteschi della famiglia Sartorio, vissuta nella villa dal 1834 al 1946. Poco dopo si incontra l’elegante Salottino di Paolina Sartorio, in stile Luigi XVI, rivestito da pannelli ricamati (probabilmente dalle donne della famiglia). Nella vetrinetta e sul tavolino sono conservate alcune preziose porcellane viennesi e napoletane, mentre accanto figurano vasi Giapponesi. Come sovrapporte, tre tempere monocrome, raffiguranti rovine di gusto romantico
La vicina Sala neogotica si distingue nettamente dallo stile prevalente della casa e con la sua decorazione uniforme dal pavimento al soffitto al mobilio, rispecchia l’adesione alla moda del recupero degli stili storici diffusasi verso la metà del secolo XIX. I grandi dipinti sono opere di notevole interesse di due protagonisti della pittura veneziana della metà del secolo, Ludovico Lipparini e Michelangelo Grigoletti.
Il Salone centrale, che si apre sulla terrazza verso il giardino, era naturalmente adibito ai ricevimenti e ai balli. Piuttosto sobrio, è adornato da consolles con specchi del più lineare stile Impero. Sulle pareti due arazzi del tipo “tenière” o “boscarecce” con scene di genere di manifattura fiamminga del XVIII secolo e grandi tele di pittori di scuola tedesca e veneta tra il XVII e il XIX secolo. Come sovrapporte, due vedute di Venezia fantastica (scuola veneta del XVIII secolo). 
Da qui si passa alla Sala di musica, con il pianoforte e una serie di mobili Impero tra cui un’elegante dormeuse. La vetrina è opera del noto ebanista triestino Giuseppe Passalacqua: contiene un servizio in porcellana con monogramma S.S. appartenuto a Salvatore Segrè Sartorio. In questo ambiente le pitture murali, databili agli anni Venti del XIX secolo, emerse nei restauri del 2006 interessano oltre a tutta la superficie del soffitto, anche parte delle quattro pareti; sul soffitto otto puttini – intervallati da un motivo a festone – trattengono i lembi di un velario. Agli angoli del soffitto strumenti musicali fanno pensare che questo ambiente fosse da sempre riservato alla musica. Lungo tutte le pareti, un finto tendaggio drappeggiato e delle esili colonne completano, assieme a delle finte partiture Il vicino Salotto rosa è arredato con mobilio neorococò, in stile Luigi XV, preziosamente intarsiato con motivi floreali; due poltrone gemelle, autentiche del periodo Luigi XV, conservano la tappezzeria rosa e oro originale. Alle pareti una serie di paesaggi di notevole valore. La sala successiva, in stile Impero, è chiamata Stanza da letto del Duca perché nel 1919 ospitò Emanuele Filiberto Duca D’Aosta. Alle pareti è proposta una galleria di pregevoli dipinti del Sei-Settecento di soggetto sacro appartenuti alla famiglia Sartorio.
architettoniche, la decorazione della stanza.
Il percorso del primo piano si conclude in una sala particolare in cui è conservato il prezioso Trittico di Santa Chiara, eccezionale testimonianza della pittura veneziana della prima metà del Trecento. Eseguita a tempera su tavola si compone di una tavola centrale e di due portelle laterali. La parte centrale è scompartita in 36 riquadri raffiguranti su fondo oro episodi della vita di Cristo, tranne gli ultimi due che rappresentano la morte di Santa Chiara e le stimmate di San Francesco. A trittico chiuso sono raffigurati sull’ala sinistra San Cristoforo, su quella destra San Sergio, con l’alabarda di Trieste in mano; quasi a conferma che l’opera fu eseguita per la città. Il dipinto apparteneva in origine alle monache di clausura del Monastero di San Cipriano di Trieste, che all’epoca della fondazione (1278) avevano aderito alla regola di Santa Chiara per poi passare, nel 1367, a quella di San Benedetto. Fu donato dalle Benedettine, nella seconda metà dell’Ottocento, al dottor Lorenzutti, medico e letterato triestino, che a sua volta lo lasciò in eredità al Comune di Trieste, affinché fosse visibile ad un più vasto pubblico.
L’ancona centrale può essere assegnata a un maestro vicino alla maniera bizantina e alla miniatura (riconosciuto in Marco Veneziano o nel Maestro di Santa Chiara) e può essere datata intorno al primo decennio del XIV secolo; le portelle si riconnettono invece ai modi di Paolo Veneziano, il primo grande esponente della pittura veneziana del Trecento o a un suo strettissimo collaboratore e si possono ascrivere agli anni intorno al 1320.

Tre sale del primo piano ospitano la collezione Rusconi-Opuich, pervenuta nel 1975. Si tratta di una collezione vasta ed eterogenea, che va dall’arte antica al Novecento, includendo dipinti, icone, sculture, disegni, stampe, ventagli, stoffe, gioielli di epoca romana e ottocenteschi, strumenti musicali, reperti archeologici, peltri, maioliche, ceramiche, vetri, tappeti e mobili per un totale di oltre 2.500 pezzi.

SECONDO PIANO

Al centro si trova il Salone degli specchi ora utilizzato per mostre temporanee da cui si passa alla raffinata Sala da pranzo arredata in stile Luigi XVI con mobili chiari e superfici verde salvia, vicina al Salottino di Anna, l’ultima proprietaria, decorato da una tappezzeria a motivi floreali.

LE SALE TIEPOLO
Una sezione molto importante dell’esposizione del Museo Sartorio è rappresentata dalla collezione di 254 disegni di Giambattista Tiepolo, conservata in una sala appositamente attrezzata. La collezione, una delle più importanti del mondo, fu costituita dal barone Giuseppe Sartorio nel 1893 il quale la acquistò con accortezza e tempestività da un antiquario triestino e alla sua morte, avvenuta nel 1910, la lasciò al Comune di Trieste.

GIARDINO

Le statue che ornano oggi il giardino (restaurato nel 2013) provengono dalla villa Sartorio di Montebello di Strada di Fiume, un'altra residenza della famiglia, e rappresentano uno dei pochissimi esempi di scultura da esterno del primo Settecento presenti a Trieste. Solo la Venere, collocata sotto il portichetto d'ingresso, è in marmo, firmata Francesco Bonanni, mentre le altre sono realizzate in pietra di Vicenza e raffigurano: Sileno appoggiato all'asino, Pallade, Apollo, Bacco, Jole con la clava e la pelle leonina e Pomona con il tralcio d'uva e il puttino avvinghiato.

In estate il Museo e il giardino sono aperti anche in ore serali in occasione di spettacoli e manifestazioni.

DOVE: Largo Papa Giovanni XXIII, 1 - Trieste

ORARI E BIGLIETTI: Informazioni aggiornate qui

COME ARRIVARE:autobus n. 30 (parte dalla Stazione Centrale)

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