Il nuovo Museo Henriquez si presenta

Da oggi è aperto al pubblico il nuovo Museo della Guerra per la Pace "Diego de Henriquez" nella sede ristrutturata dell'ex Caserma "Duca delle Puglie" in via Cumano 22. Si tratta della prima tappa di un percorso che prevede il recupero dell'intero comparto, una superficie di 23.000 mq con 11.000 mq costruiti. Per ora il Comune di Trieste ha realizzato due settori, che ospitano il Museo di Storia Naturale e, appunto, da oggi, il Museo de Henriquez, che, nei suoi primi 2500 mq ospita la sezione dedicata alla Grande Guerra e un'anticipo di quello che sarà in seguito la sezione dedicata alla seconda guerra mondiale, con molti documenti su Trieste negli anni venti e trenta e sulla figura del collezionista e fondatore del Museo, Diego de Henriquez.
Per approfondire il progetto del museo e le fasi della sua realizzazione si rinvia alla documentazione predisposta per la conferenza stampa del 25 luglio su http://bit.ly/UALM9G 


Il 28 luglio 2014, è stata scelta come data simbolica, nel centesimo anniversario della dichiarazione di guerra dell'Austria-Ungheria alla Serbia, per inaugurare il nuovo Museo della Guerra per la Pace “Diego de Henriquez”, sito nell'ex Caserma “Duca delle Puglie” in via C. Cumano 22. Qui troverà definitiva sistemazione, in più fasi, la grande collezione di mezzi, pezzi di artiglieria, strumenti, armi, uniformi, documenti, opere d'arte, fotografie, modelli, ecc. messa pazientemente insieme lungo tutta la vita da una delle figure più singolari del Novecento triestino, Diego de Henriquez, appassionato e tenace ricercatore di cose rare, non solo nel settore bellico ma anche in tutti gli altri campi nei quali si esercita l'ingegno umano.


La presentazione – a ridosso dell'inaugurazione del Museo prevista lunedì 28 luglio, alle ore 19.00 - si è tenuta stamane al Museo d'Arte Orientale. Sono intervenuti l'assessore alla Cultura Franco Miracco, il direttore dei Civici Musei, Maria Masau Dan, il curatore del progetto scientifico, Lucio Fabi e rappresentanti degli sponsor, tra cui Fondazione CRTrieste e Assicurazioni Generali.


Costituita da circa 15.000 oggetti inventariati, di cui 2800 armi, 24.000 fotografie, 287 diari (38.000 pagine), 12.000 libri, 2600 tra manifesti e volantini, 500 stampe, 470 carte geografiche e topografiche, 30 fondi archivistici, 290 documenti musicali, 150 quadri e un fondo di pellicole (250 documenti cinematografici conservati all'Istituto Luce di Roma) la collezione de Henriquez è diventata di proprietà del Comune di Trieste, che l'ha acquisita dagli eredi, nel 1983, e dopo varie vicende, dal 1999 ha trovato sede nella Caserma “Duca delle Puglie” dove in una prima fase sono stati trasferiti solo i mezzi e i pezzi di artiglieria pesante e, dal 2011, anche le raccolte di oggetti e documenti.

Nel febbraio 2012 è iniziato a cura dell'Area Lavori Pubblici – Servizio Edilizia Pubblica - il lavoro di ristrutturazione degli edifici 3 e 4 della Caserma “Duca delle Puglie” (comprensorio di oltre 23.000 mq di cui 11.000 coperti) che, terminato nello scorso inverno, ha permesso di disporre di un consistente spazio (circa 2600 mq) per l'esposizione delle collezioni nel nuovo percorso museale, per i servizi di consultazione della biblioteca, della fototeca e dell'archivio e per gli uffici. Altri 3500 mq saranno disponibili dopo la ristrutturazione, che sta per iniziare, di altri due hangar.

La collezione de Henriquez è costituita da documenti relativi sia alla prima che alla seconda guerra mondiale, ma, considerato che quest'anno ricorre il centenario dello scoppio della Grande Guerra, e in tutta Europa si susseguono iniziative di carattere espositivo e museale sull'argomento, si è ritenuto giusto aprire il nuovo museo dedicando la maggior parte dello spazio disponibile ai reperti relativi al primo conflitto, che sono in alcuni casi, dei pezzi unici e davvero straordinari.
Su proposta del direttore dei Musei civici Maria Masau Dan, che ha guidato il lavoro, il progetto scientifico è stato affidato allo storico Lucio Fabi, autore di significativi studi sulla prima guerra mondiale e collaboratore di importanti musei storici; lo hanno affiancato nelle ricerche e nello sviluppo del progetto la conservatrice del Museo Antonella Cosenzi e lo staff culturale dei Musei civici. Il progetto dell'identità visiva del Museo, del logo e dell'allestimento è di Francesco Messina.

“Un percorso complesso – ha detto l'assessore Miracco – con alle spalle un energico lavoro di schedatura e conoscenza dei materiali di studio nei nuovi spazi di via Cumano, che ha portato infine ad un'occasione straordinaria per Trieste nella realizzazione di un contenitore culturale, ideale luogo di incontri, studi, dibattiti. Ma che senza il grande sforzo e impegno profusi da tutte le persone coinvolte delle istituzioni museali, non avrebbe potuto concretizzarsi. 
Un grazie anche a Lucio Fabi, indispensabile supporto scientifico di grandissima esperienza nel campo, con l'auspicio che il Museo de Henriquez diventi importante e di significativo richiamo dal punto di vista culturale e turistico”. 
Un impegno sottolineato con forza anche dal direttore Masau Dan che ha ricordato “come il lavoro di allestimento abbia visto la collaborazione del personale dei musei in condizioni molto difficili nella missione di consegna alla città di un patrimonio storico-culturale di elevata portata e qualità. Ringraziamo la Regione Friuli Venezia Giulia e gli sponsor, Fondazione CRTrieste e Assicurazioni Generali, e tutti coloro che, anche con piccoli contributi, hanno supportato finanziariamente questo ambizioso progetto.Un sostegno che il più delle volte non è solo economico, ma anche morale, per l'assiduità e la continuità nel perseguire e portare a termine obiettivi di comune interesse per il bene della città e la valorizzazione del suo patrimonio”.

I restauri

Alla base del nuovo allestimento c'è un'importante intervento di restauro dei mezzi e dei pezzi di artiglieria, effettuato dalla “Mauro Vita restauri e conservazione” di Roveredo in Piano, che in soli quattro mesi ha permesso il recupero quasi integrale, con risultati in molti casi sorprendenti, di cannoni, veicoli, strumenti che si trovavano in condizioni di grave e gravissimo degrado anche per essere stati a lungo esposti alle intemperie nelle sistemazioni all'aperto dei primi anni in cui de Henriquez raccoglieva i pezzi.
Alla “Mauro Vita restauri e conservazione” si deve anche un gesto particolarmente generoso nei confronti del museo: il dono del restauro del carro funebre d'epoca, sempre di collezione de Henriquez, che è esposto nella sezione dedicata all'attentato di Sarajevo.

Immagine e allestimento

Il Museo de Henriquez ha un suo logo, ideato dal Polystudio di Francesco Messina, che bene esprime il messaggio consegnato alla storia dal suo fondatore: una lettera H che riprende l'iniziale del cognome, ed è attraversata da una fascia di colori brillanti, che alludono alla bandiera della pace.
Nel progettare la struttura che costituisce l'allestimento del museo, formata da pareti che offrono al visitatore una lunga spiegazione della prima guerra mondiale (in italiano e inglese), corredata da significative immagini tratte dalla fototeca di de Henriquez ma anche da altri archivi, Messina, seguendo il progetto di Fabi, ha voluto creare un percorso narrativo chiaro e “leggero”, quasi in contrasto con la drammaticità espressa dai mezzi di morte che si concentrano nella “navata” centrale dell'hangar. Non mancano certo le crudezze della guerra (non c'è stata censura nella scelta delle immagini) ma volutamente si è puntato su levità e trasparenza, alternando ai testi tavole grafiche che riassumono “i numeri della guerra”, trasmettendo con la sintesi moderna e la spettacolarizzazione dell' infodesign la consapevolezza dell'entità dei fenomeni narrati e delle loro conseguenze.

I video

La narrazione dei fatti di guerra si giova anche di numerosi contributi filmati tratti da diversi archivi offerti al visitatore in più punti dell'esposizione. Si devono al regista Alessandro Scillitani sia il video (“Funerale della pace”) che accompagna la sezione dedicata al corteo funebre degli arciduchi, sia due mini film su “Guerra di trincea” e “Caporetto”, che offrono della guerra un'immagine poetica e struggente.
Altri documenti filmati sono stati forniti dalla Cineteca del Friuli e dall'Istituto Luce (riferiti sia alla prima che alla seconda guerra mondiale). Questi si potranno vedere al primo piano, nella sezione dedicata alla vita e alla collezione di Diego de Henriquez.

L'articolazione del percorso

La prima parte del “Civico Museo di guerra per la pace Diego de Henriquez”, si apre dunque, secondo il desiderio del suo ideatore, all'insegna di un approccio ampio e complessivo al tema “guerra”, volto al superamento del concetto stesso di conflitto in nome di una consapevole tensione umanitaria verso la pace. Non un museo “di guerra” comunemente inteso, ma il museo della società del Novecento in guerra con i suoi demoni e i suoi orrori, nel lungo e contrastato cammino verso una pace che si spera duratura.


Nel primo hangar restaurato al piano terra trova posto l’esposizione permanente di approfondimento “1914-1918 IL FUNERALE DELLA PACE”, dedicata alla storia del primo conflitto mondiale, che si apre appunto con il corteo funebre di Francesco Ferdinando erede al trono d’Austria-Ungheria, assassinato con la moglie a Sarajevo il 28 giugno 1914, evento che dà inizio alla Grande Guerra. Il carro esposto è, tra quelli conservati da de Henriquez, il più simile per dimensioni e decorazioni a quello che trasportò le spoglie dell'arciduchessa Sofia.
Nell’ampio spazio centrale trova posto l’esposizione pressoché integrale dei cannoni e dei mezzi inerenti al periodo, corredati da testi esplicativi, fotografie, manifesti propagandistici, armi e oggetti d’epoca provenienti dalla collezione H.
Al piano superiore il discorso si fa generale grazie a una sintetica cronologia (“Cento anni di guerre”) che parte dal Novecento e arriva all’oggi. L’esposizione al piano è focalizzata sulla storia di Trieste nella prima guerra mondiale, nel periodo fascista e nel secondo conflitto mondiale fino alla riunione con l’Italia nel 1954. La narrazione cronologica si intreccia con la vita di Diego de Henriquez, fornendo una esauriente sintesi della storia generale e locale.
Al piano anche una grande sala dedicata alle mostre temporanee e altri eventi che in ottobre ospiterà la prima esposizione tematica, dedicata ai giocattoli di guerra visti come espressione di una società che tendeva a inglobare anche l’infanzia in un ideologico universo militarista, ma anche come generale, praticato antidoto contro le pulsioni aggressive infantili.

Vicini al Museo de Henriquez

La realizzazione del nuovo museo ha potuto contare sul contributo della Regione Friuli Venezia Giulia e su altri sostegni finanziari da parte della Fondazione Cassa di Risparmio di Trieste e delle Assicurazioni Generali. Inizia ora anche la collaborazione con l'Istituto Luce di Roma, che ha garantito la salvaguardia dei documenti cinematografici conservati nel suo archivio e messo a disposizione la prima parte delle riproduzioni digitali, che saranno visibili già per l'inaugurazione.

L'offerta museale nel campo della storia contemporanea

Il Museo della Guerra per la Pace “Diego de Henriquez” arricchisce e completa l'offerta museale della città di Trieste nel campo della storia contemporanea, che – con la Risiera di San Sabba (100.000 visitatori di media) e il Sacrario della Foiba di Basovizza (90.000) – produce la maggiore concentrazione di visitatori dei musei civici. Considerato il numero delle richieste di visita del Museo de Henriquez giunte nel periodo di chiusura, si può ipotizzare abbastanza verosimilmente un risultato di almeno 30-40.000 presenze l'anno. Sarà fatta un'adeguata promozione del museo anche nel mondo della scuola.

Per tutto agosto ingresso gratuito

Dal 29 luglio, giorno in cui il museo sarà aperto al pubblico con orario 10-19 (lunedì giorno di chiusura), al 31 agosto, il Museo de Henriquez sarà aperto gratuitamente. Dal 2 settembre l'ingresso sarà di 5 euro (intero) e 4 euro (ridotto).

Qualche ipotesi sul futuro del Museo

Nel tempo seguirà il restauro di altri due simili hangar, di cui si può sinteticamente tracciare l’andamento tematico. Nel primo, al pianterreno potrebbe proseguire secondo un andamento cronologico/tematico fortemente aderente alle caratteristiche della collezione dei mezzi pesanti (cannoni, carri armati, autocarri ecc.) la narrazione delle successive guerre del Novecento (Guerra di Spagna, Guerra d’Africa, Seconda guerra mondiale), con particolare attenzione alle tattiche militari, alle tecnologie belliche e alle condizioni esistenziali di militari e civili, ricorrendo ad alcune ambientazioni emotive (la guerra dei carri, il bombardamento delle città, ecc.) maggiormente motivate dalla presenza di rari e significativi reperti. In questo spazio anche lo spettacolare sottomarino italiano e altri mezzi che attireranno sicuramente l’attenzione internazionale. Al piano focus locali e approfondimenti tematici sui diversi aspetti dei conflitti in relazione alla società triestina, con ambientazioni e situazioni emotive prodotte da video e accorgimenti scenografici (bombardamenti, i soldati italiani in Russia, l’occupazione nazista, ecc.).
Nell’ultimo hangar al pianoterra proseguirà il confronto tematico tra mezzi e tecnologia e la guerra vissuta da militari e civili nelle diverse situazioni internazionali di conflitto relative al periodo 1939-45, con una necessaria apertura al tempo della cosiddetta “Guerra Fredda” fino alla caduta del Muro di Berlino, ai conflitti balcanici e alla situazione conflittuale internazionale venutasi a creare dopo l’attentato terroristico delle Torri gemelle di New York, sino alla attuale situazione dei conflitti nel mondo. In questo senso sarà vitale il rapporto e la collaborazione con i militari, perché contribuiscano con qualche significativo reperto alla narrazione tematica.
Il terzo hangar si aprirà alla comprensione della complessità del mondo attuale, mentre oltre all’esposizione dei mezzi restaurati, una parte del pianoterra (circa un terzo) sarà dedicata all’alloggiamento dei mezzi non restaurati, che si potranno comunque visitare in sicurezza.
Si dovranno trovare spazi anche per la custodia in sicurezza della innumerevole oggettistica della collezione H. che non troverà posto nell’allestimento. Al piano continuerà l’approccio storico e sociale alle situazioni più recenti, e in particolare allo sviluppo delle guerre balcaniche degli anni Novanta. Così dalla Sarajevo del 1914 alla Sarajevo di oggi, si potrà forse chiudere il “secolo delle guerre” con una riflessione di pace. Lo spazio al piano dovrà anche ospitare l’armeria della collezione H, per la delicatezza dei reperti chiusa al pubblico, mentre la visita di studiosi e collezionisti dovrà essere regolamentata e selezionata. Gli ampi spazi esterni del comprensorio museale, oltre che per l’esposizione di reperti significativi di grandi dimensioni (ad esempio i treni blindati), potranno essere riservati a installazioni artistiche, happening e manifestazioni pubbliche sul valore della pace, con il coinvolgimento di scuole, associazioni, privati.


Comts/RF


Diego de Henriquez : vita e collezioni

Diego de Henriquez nacque a Trieste il 20 febbraio 1909 da Diego de Henriquez e da Maria Micheluzzi. L’origine della famiglia sembra debba essere ricercata in Borgogna da dove successivamente un ramo del lignaggio si sarebbe insediato in Portogallo e da lì, nel XVIII secolo, in Austria e quindi a Trieste. La carriera scolastica di Diego fu piuttosto tortuosa, divisa - anche a causa degli eventi bellici - fra istituti scolastici diversi e diverse località quali Gradisca, Graz, Venezia, Gorizia e Trieste dove, infine, frequentò all’Istituto Nautico. Fin da giovane si dedicò con passione al collezionismo ma è errato pensare che raccogliesse solamente materiale bellico: i suoi svariati interessi e la sua versatilità, infatti, fecero sì che collezionasse oggetti della natura più varia come si può constatare tutt’oggi visionando i materiali custoditi nel Museo che porta il suo nome.
La sua prima passione fu l’archeologia tanto che nel 1926, con alcuni amici, fondò la S.A.T. (Società Archeologica Triestina). Durante le escursioni sul Carso e in Istria - spinto da questo interesse che coltivò attivamente fino agli anni ’60 - raccolse diverso materiale archeologico, coinvolgendo, talvolta, i direttori dei musei cittadini.
Nello stesso 1926, a soli diciassette anni, ebbe l’opportunità d’imbarcarsi come mozzo su una nave che lo condusse in India: di questo viaggio esiste una cronaca entusiasta e dettagliata su alcuni quadernetti di appunti di età giovanile conservati al Museo.
A diciannove anni, nel 1928, sposò Adele Fajon e l’anno successivo prestò servizio militare in Fanteria, con poco entusiasmo. Nel 1929 nacque la prima figlia Adele Maria - tuttora vivente - e due anni più tardi il figlio Alfonso1 che, in qualche modo, ha seguito le orme paterne.
Dopo il servizio militare trovò impiego presso il Cantiere Navale di Monfalcone (C.N.T.), all’ufficio aeronautico, con la qualifica di “tracciatore”.
Più tardi passò alla società di navigazione Libera Triestina che successivamente fu inglobata nella Società Adriatica di Navigazione.

Il 1941 è un anno che va sicuramente ricordato in quanto segnò una svolta nella vita di Henriquez: nella primavera di quell’anno, infatti, venne richiamato alle armi e precisamente al XXV Settore di Copertura Timavo a San Pietro del Carso (l’odierna Pivka in Slovenia. Proprio nella caserma dove Henriquez prestò servizio è stato creato il Park of Military History). Dai suoi superiori - primo fra tutti il colonnello Ottone Franchini - ottenne l’autorizzazione a recuperare preda bellica con la quale iniziò ad allestire un Museo di guerra. Contemporaneamente diede vita a un Giornale del XXV Settore, compilò una guida relativa allo stesso Settore e predispose un laboratorio fotografico.
Dopo l’8 settembre 1943 - quando l’Italia si dissociò dalla Germania - egli comprese che facilmente i tedeschi - in particolare quelli dell’ - avrebbero potuto mettere le mani sui materiali bellici di San Pietro del Carso. Approfittando del fatto che la località era collegata a Trieste tramite ferrovia, con diversi viaggi su rotaia, riuscì a trasportare il Museo di guerra nel capoluogo giuliano in via Besenghi 2 (presso villa Basevi) dove rimase per alcuni anni fino al trasferimento della collezione sul colle di San Vito nella zona chiamata Sanza dal nome di un fortino lì costruito nel diciassettesimo secolo con lo scopo di facilitare l’avvistamento di eventuali nemici provenienti dal mare.

Diego de Henriquez fu “abile diplomatico” tanto da riuscire ad instaurare rapporti distesi con tutti gli eserciti che occuparono il nostro territorio. Nel mese di maggio del 1945, ad esempio, la sua partecipazione come intermediario / traduttore alle trattative di resa dei tedeschi gli valse dei materiali “nemici” per le sue raccolte. Durante i “quaranta giorni” di occupazione jugoslava diventò “il compagno direttore del Museo”. Durante il Governo Militare Alleato (G.M.A.), che durò fino al mese di ottobre del 1954, ottenne il rilascio di permessi speciali per poter recuperare in diversi luoghi anche beni militari e incrementare così le sue collezioni. Con l’autorizzazione della Soprintendenza, potè recarsi a Pola a prelevare materiali e documenti di notevole interesse museale compresi quelli relativi alle ormai distrutte fortificazioni della città.

Risulta che già nel 1947 de Henriquez avesse avuto intenzione di donare il suo patrimonio al Comune di Trieste ponendo però dei vincoli che rappresentarono un impedimento alla realizzazione della donazione: tale decisione, probabilmente, fu dettata dal fatto che in quel periodo egli non faceva più parte dell’esercito, aveva una famiglia da mantenere e un impiego alla Società Adriatica di Navigazione ed era quindi troppo oneroso per lui - in termini di tempo e di denaro - mantenere un Museo così consistente. Confidando nelle promesse dei politici decise di donare le collezioni al Comune e, pensando di poter continuare ad esserne il direttore, nel 1949 si licenziò dal suo impiego. Questa decisione ebbe forti ripercussioni sulla sua esistenza e su quella dei suoi familiari: le promesse, infatti, non furono mantenute e si trovò in una situazione economica molto precaria tanto che, in più occasioni, fu costretto ad attuare la vendita di materiali ferrosi appartenenti al Museo per poter saldare i debiti che aveva contratto. Visto l’insuccesso della sua iniziativa, a un certo momento, si rivolse anche a vari ministeri romani senza però ottenere alcun aiuto.

Dal 1953 al 1955 la Prefettura di Trieste nominò un commissario straordinario per amministrare le collezioni di Henriquez e una commissione che aveva il compito di studiare come gestire e sistemare il Museo. Ma anche questa operazione non diede i frutti sperati. Fu così che Diego de Henriquez iniziò a guardarsi altrove tanto da accettare il suggerimento di Ottone Franchini - suo superiore a San Pietro del Carso - di recarsi a Roma nel 1957 per progettarvi il trasferimento del Museo e pensare di inaugurarlo in occasione delle Olimpiadi del 1960. Per questo fine gli fu assegnata la caserma di Santa Croce in Gerusalemme dove, però, si lasciò fuorviare dall’antica passione per l’archeologia e iniziò a effettuare degli scavi che ebbero come unico risultato quello di procurargli dei problemi con la giustizia.
Nel 1963 si ritrovò nuovamente a Trieste al punto di partenza e pieno di debiti.
Iniziarono a farsi avanti alcune città come Gorizia, Muggia, Feltre e Verona che si offersero di accogliere le sue raccolte. A questo punto il Comune di Trieste - acquisita la consapevolezza di rischiare la perdita delle preziose collezioni - unitamente alla Provincia, all’Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo e all’Ente Provinciale per il Turismo, decise di costituire un Consorzio per la gestione del Museo. Il 14 maggio 1969, con decreto prefettizio n. 1-14/15-1791, venne approvato la statuto del Consorzio con sede presso il Comune di Trieste e con Diego de Henriquez come direttore. L’intenzione era quella di creare una mostra permanente diretta dall’Henriquez con sede sul Monte Calvo presso Trebiciano dove si stavano concentrando i mezzi e l’artiglieria pesante e dove si sarebbero dovuti costruire anche dei padiglioni per il ricovero dei materiali. Temporaneamente gli venne assegnato il magazzino di via San Maurizio 13 dove lo stesso collezionista, da un certo momento, fissò la sua dimora rinunciando, tra l’altro, allo stipendio mensile per devolverlo interamente alla manutenzione delle collezioni.
Il Consorzio avrebbe dovuto operare dal 1969 al 1984, ma continuò in proroga fino al 31 dicembre 1988. Il 2 maggio 1974 Diego de Henriquez morì nell’incendio scoppiato nel magazzino di via San Maurizio dove risiedeva e “le cose già di proprietà dello stesso (che costituivano la parte più consistente della “collezione” amministrata dal consorzio) divennero di proprietà degli eredi (la moglie ed i due figli)”.
Tra la fine del 1983 e gli inizi dell’anno successivo il Comune di Trieste, con l’erogazione di un contributo di L. 550.000.000 da parte della Regione (decreto 18.7.1983, n. 704/Istr.), acquistò la titolarità delle raccolte.
Una volta conclusasi la gestione consorziale, gli enti consorziati non vollero prorogare ulteriormente la durata del Consorzio per cui lo stesso era da considerarsi “Cessato di diritto ai sensi dell’art. 167 del T.U.L.C.P.”: a quel punto il Prefetto di Trieste, con decreto 03.03.1989, provvide alla nomina di un “Commissario per la provvisoria gestione delle collezioni di armi e documenti del cessato consorzio” (patrimonio tutelato ai sensi della legge 1° giugno 1939 n. 1089), nella persona del dott. Vittorio Bartolini cui vennero affidati dei compiti ben precisi, tra cui quello di redigere l’inventario della collezione.
Dal 1990, per tre anni, il Commissario prefettizio fece redigere degli inventari e il 12.11.1993, con una lettera, comunicava che “tutto il materiale museale è passato alla gestione del Comune di Trieste e che pertanto con effetto immediato e salvo particolare richiesta ogni suo intervento veniva a cessare”. Nel 1994 il Comune, proprietario della maggior parte dei beni costituenti le collezioni, ne assunse di fatto la gestione demandando le relative incombenze al Settore Attività Culturali (verbale della deliberazione n. 4062 dd. 22.12.1994). Nello stesso anno ne perfezionò l’acquisto.
Il 3 marzo del 1997, con deliberazione giuntale n° 211, le collezioni sono entrate a far parte dei Civici Musei di Storia e d’Arte di Trieste (museo multiplo a direzione centrale) con il nome di Civico Museo di guerra per la pace “Diego de Henriquez”.
Il patrimonio del Museo rimane sotto il vincolo della Soprintendenza la quale, negli anni Settanta, lo dichiarò “valore storico d’interesse pubblico”.

Le sedi

Nel periodo del Consorzio i materiali furono dislocati in diverse sedi: i mezzi pesanti sul Monte Calvo a Trebiciano e altri pezzi dello stesso tipo nell’ex macelletto di Villa Opicina con annessa un’officina per la manutenzione. Il magazzino di via San Maurizio 13 fu destinato invece ai materiali minori e all’oggettistica in generale, mentre nei locali di via Gambini 10 furono ricoverati prevalentemente libri, fondi documentari, manifesti e fotografie. Nel 1980 - a seguito della progettazione dei lavori riguardanti la grande viabilità - fu deciso che il Monte Calvo doveva essere sgomberato: sei anni più tardi - nel 1986 - il Comune diventò affittuario dell’ex campo profughi di Padriciano dove i mezzi pesanti e i grandi pezzi d’artiglieria vennero trasferiti e dove vi rimasero fino al 1999, anno in cui furono spostati definitivamente nella dismessa2 caserma “Duca delle Puglie” di via Cumano 24 a Trieste. I tre hangar furono inaugurati ufficialmente il 23 giugno 2000.
Agli inizi degli anni Novanta, gli oggetti più piccoli e delicati, i documenti e i libri vennero trasportati nell’ex caserma Beleno di via Revoltella. L’accesso all’edificio che accolse i materiali, cui è attribuito il numero civico 33, era consentito da via Revoltella 29. In occasione dell’inaugurazione della prima mostra in quella sede (1998) fu aperto un accesso al n. 37 sempre di via Revoltella. In seguito, nell’ambito della prima fase di ristrutturazione del comprensorio dell’ex-caserma Beleno, in base al progetto approvato per la costruzione della nuova caserma della Polizia Municipale, il Civico Museo di guerra per la pace “Diego de Henriquez” ha subito due altri cambiamenti di indirizzo: da maggio 2006 l’accesso venne nuovamente garantito da via Revoltella 29, mentre nel 2007 fu aperto un nuovo ingresso in via delle Milizie, al quale l’Ufficio Toponomastica del Comune di Trieste attribuì il numero civico 16.
Il comprensorio dell’ex-caserma Beleno, fino agli inizi dell’anno 2011, ha quindi ospitato una sede provvisoria del Museo con gli uffici, il consistente archivio (fondi civili, militari e cartografici), l’archivio fotografico di più di ventiquattromila fotografie in positivo (molte delle quali scattate dallo stesso de Henriquez) e la biblioteca dotata di circa tredicimila volumi. E inoltre: sezioni attinenti a telecomunicazione, riproduzione fonica, sfragistica, filatelia, militaria (soprattutto uniformi e copricapo), stampe, quadri, medaglie, giocattoli e modellini, sia a carattere bellico che civile, modelli d’arsenale, ricostruzioni in scala, reperti archeologici e oggetti orientali di particolare interesse.
Sui due piani del complesso erano, inoltre, visitabili due mostre allestite con parte dei materiali dell’Istituto: la prima, di argomento navale, intitolata “Le navi di Diego de Henriquez”, inaugurata nel 1998, la seconda sulla sanità militare nelle due guerre denominata “Saluti dalla Sanità” e aperta al pubblico nell’anno 2000.
Dall’apertura della mostra a carattere navale, la sede divenne visitabile con il seguente orario: lunedì e mercoledì dalle 9.00 alle 16.00, martedì, giovedì e venerdì dalle 9.00 alle 13.00. Chiusa il sabato, la domenica e i festivi, salvo richieste o iniziative particolari.
Le visite agli hangar di via Cumano, invece, avvenivano solo su prenotazione all’interno dell’orario sopraccitato.
Entrambe le sedi erano incluse nel Servizio didattico dei Civici Musei di Storia ed Arte, che, al “de Henriquez”, è stato sospeso dall’anno 2009 in quanto gli edifici del Museo, per motivi prevalentemente legati alla sicurezza, sono stati chiusi al pubblico.
A questo proposito si riporta il testo inviato dall’ing. Khalil di Global Service riguardante la chiusura della struttura museale di via delle Milizie 16:

“Facendo seguito a quanto già comunicato al Comune di Trieste con nota del sottoscritto dd. 26/09/2007 circa la necessità dell'esecuzione immediata ed improrogabile di sondaggi dei soffitti all'ultimo piano della struttura causa possibili distacchi, alla luce di quanto visivamente verificato in data 25/11/2009 riguardo gli intonaci vetusti e non perfettamente aderenti nelle varie sale al primo e secondo piano, dove tra l'altro si sono già verificati vari distacchi, essendo probabili nuovi distacchi che potrebbero pregiudicare l'incolumità del personale e dei visitatori, il sottoscritto ing. Fabio Khalil, incaricato dalla Global Service per la verifica statica visiva delle strutture in appalto, dichiara L'INAGIBILITA' della totalità dei vani dell'edificio con l'esclusione di quelli al pianterreno. Inoltre, data la vetustà dei locali adibiti a magazzino al piano terra ed alle condizioni esterne in rapido e progressivo degrado, seppur non attualmente non si rilevano pericoli incombenti, il sottoscritto CONSIGLIA lo sgombro e la chiusura anche dei detti locali. Per la riapertura dei vani sarebbe necessaria una battitura globale degli intonaci di soffitto e data la vetustà e le condizioni statiche, probabilmente il loro totale rifacimento”.

L’ex-caserma “Duca delle Puglie” di via C. Cumano, dopo gli interventi di riqualificazione che inizieranno a breve interessando l’hangar 3 e l’ex-palazzina cinema (edificio 4), diverrà la sede definitiva del Museo: oltre a ospitare, dal 1999, i mezzi e i pezzi di artiglieria pesante, dallo scorso anno - a seguito di un trasloco durato dal 17 novembre 2010 al 28 febbraio 2011 - accoglie tutto il materiale che si trovava presso l’ex-caserma Beleno. Esso è stato sistemato nell’ex-Palazzina comando (via C. Cumano 22), il cui pianterreno è a disposizione della Biblioteca Civica “Attilio Hortis” .

In base al progetto presentato da Antonella Furlan e da Antonio Sema nel 1997, i mezzi e i pezzi di artiglieria sono distribuiti negli hangar in base al seguente criterio:

Hangar 3: “Motori di guerra” e “Individuare per colpire”.
Hangar 8: “Il sogno di Diego”, “Crepuscolo a Nord-Est” e “Insidie nascoste”
Hangar 10: “La voce dei re”
“Autarchia e tecnologia” (sezione relativa alle littorine blindate posizionate all’esterno tra hangar l’8 e il 10 e, fino all’anno scorso, coperte da tettoia metallica)

La denominazione del Museo

Parlare di pace mostrando carro armati e cannoni non è facile, soprattutto quando bisogna spiegare il Museo de Henriquez ai giovani i quali, quasi sempre, sono fortemente attratti dalle macchine di guerra. Non possiamo escludere che agli inizi Diego de Henriquez fosse stato realmente affascinato da tutto ciò che riguardava il mondo guerresco ma, sicuramente, col tempo maturò una concezione nuova, derivata, probabilmente, dall’aver vissuto in prima persona il secondo conflitto mondiale: decise infatti di mostrare la guerra per educare alla pace ed è in quest’ottica che il Comune oggi sta svolgendo il suo operato accettando donazioni e facendo acquisizioni anche di materiale relativo alla tecnologia civile per poter invitare a riflettere - soprattutto le nuove generazioni - sui diversi esiti dell’impiego dell’ingegno umano a fini bellici ed a fini di pace.

Va inoltre detto che Diego de Henriquez arrivò a sviluppare una concezione del tutto particolare, di non facile comprensione, e cioè quella dell’abolizione della morte e del male dal futuro e dal passato tramite lo svincolamento dallo spazio-tempo o inversione del tempo. A suo avviso, chiunque fosse intellettualmente attivo poteva prendere coscienza di una vita eterna vissuta al presente, dove ogni avvenimento, anche remoto nella nostra classificazione abituale, assumeva la potenzialità di un accadimento attuale. Leggendo la storia scritta si diveniva compartecipi di fatti paralleli che, in quest’ottica, assumevano la connotazione della contemporaneità.
Concetti sicuramente complicati che meriterebbero uno studio specifico.

Alla luce di ciò ecco come Diego de Henriquez denominò il Museo per un certo periodo: “CENTRO INTERNAZIONALE ABOLIZIONE GUERRE E PER LA FRATELLANZA UNIVERSALE - MUSEO SCIENTIFICO STORICO E GUERROLOGICO DIEGO DE HENRIQUEZ” “ PRIMO CENTRO AL MONDO PER LA LETTURA E MODIFICA DEL PASSATO E DEL FUTURO - PER MEZZO DELLA INVERSIONE DEL TEMPO QUALE CONSEGUENZA DELLO SVINCOLAMENTO DALLO SPAZIO TEMPO PER ABOLIRE IL MALE E LA MORTE”.

Indicativi, inoltre, per conoscere gli intenti e le aspettative che Henriquez aveva riposto nella creazione del suo Museo, i seguenti pensieri che egli annotò nell’aprile del 1949: “Cade qui opportuna l’occasione di dire che il Museo ha anche una certa quantità di oggetti relativi alla tecnica civile, perché sono stati raccolti allo scopo di disporli in contrapposto agli oggetti guerreschi della stessa epoca e dello stesso tipo, allo scopo di dimostrare come in tutti i tempi e paesi i massimi sforzi dell’Uomo conversero verso gli strumenti bellici. Infatti dall’immediato, spontaneo confronto visivo che tale accostamento suggerisce, si può subito constatare la estrema sproporzione fra la meschinità e povertà financo primitività degli strumenti civili, di fronte invece all’estrema perfezione ( in rapporto a quegli ambienti tecnico - storici in cui sorsero) e ricchezza, degli strumenti bellici”.
Ed ancora parti di uno scritto non datato contenenti i seguenti commenti:“ … si vuole cercare di mostrare come in tutti i tempi e specialmente poi nell’epoca attuale la guerra rappresenti in buona parte una gigantesca quanto inutile dispersione di preziose energie che se impiegate per fini puramente pacifici ed umanistici potrebbero dare meravigliosi e insperati risultati”. “Tutto il materiale del Museo è stato reso irreparabilmente inutilizzabile senza guastarne però l’estetica e la completezza - attraverso lunghi e spesso costosi lavori”. “A differenza di altri Musei di guerra ( Roma, Torino, Londra, Parigi, Nuova York …), il Museo di Trieste ha un compito spirituale ed educativo. Esso è organizzato in modo da insegnare agli uomini che il benessere dell’Umanità non è nell’uccidersi ma nell’amarsi.”




ELENCO MEZZI E ARTIGLIERIA PESANTE

INGRESSO
Piastre corazzate Sheffield.
Piastre corazzate prodotte dalle acciaierie Sheffield nel 1878 e nel 1880, utilizzate dalla Marina austriaca per provare la loro resistenza nei confronti di proiettili perforanti. La piastra perforata dal proiettile, benché di maggior spessore (40 cm), si dimostrò meno resistente della seconda, di spessore minore (25 cm) ma del tipo “compound”, composta cioè da tre piastre, due in acciaio e una intermedia in ferro, che non venne del tutto perforata dallo stesso tipo di proiettile.
Le piastre, scaricate da una nave iugoslava alle acciaierie Ilva di Servola (Trieste) assieme ad altro materiale ferroso nel febbraio 1951, vennero donate dalla direzione della fabbrica al de Henriquez, che per il carico e il trasporto utilizzò una gru locomotrice dell’Ilva e un veicolo da trasporto (tank transporter) messo a disposizione dal Governo Militare Alleato.
Secondo Diego de Henriquez, le due piastre, a guisa di una installazione moderna, stavano a simboleggiare, alla fine dell’Ottocento, l’inizio della “lotta” tra le armi difensive (corazze) e quelle offensive (proiettili), lotta che in effetti condizionò, nel secolo successivo, strategie e operazioni belliche di tutti gli eserciti.
C. T. 5920, 5943

Carro funebre
Carro funebre della ditta Zimolo di Trieste (inizi ‘900), dello stesso tipo di quelli che il 2 luglio 1914 trasportarono la salma dell’arciduca Francesco Ferdinando, nipote dell’imperatore Francesco Giuseppe I ed erede del trono degli Asburgo, e quella della moglie duchessa Sofia Chotek dalla Piazza Grande (ora Unità) alla Stazione meridionale di Trieste.
C. T. 13535

Cannoni e mezzi pesanti
Italia, Obice 305/17 Mod. Garrone, montato su carri.
L’obice 305/17 pesa in batteria 33,8 tonnellate, spara proietti di 440 chilogrammi (al costo di oltre mille lire dell’epoca), fino a cinque colpi al minuto alla gittata massima di 17600 metri. Per il traino l’arma viene scomposta in bocca da fuoco, affusto, piattaforma e cassone-vomero su carri ruotati trainati da trattori Pavesi-Tolotti. Costruito su progetto Armstrong del 1909 negli stabilimenti Armstrong di Pozzuoli e Vickers di Terni, nell’ottobre 1917 erano disponibili 38 pezzi nelle tre versioni. Dopo la perdita di 9 cannoni in seguito alla rotta di Caporetto, ne vennero prodotti altri 18 tra luglio 1918 e giugno 1919, raggiungendo così il totale di 44 bocche da fuoco. Nel 1937, durante la guerra civile spagnola, 5 pezzi furono ceduti ai franchisti. Nel 1939 risultavano ancora in servizio 27 obici da 305, impiegati nel secondo conflitto mondiale come batterie di frontiera e di marina. Alcune bocche da fuoco rimasero in servizio nel dopoguerra, per essere definitivamente radiate nel 1959. L’esemplare esposto, prodotto nel 1918 e recuperato a Verona nel …., risulta essere l’unico 305/17 visibile al pubblico.
C.T. 5926-5929

Italia, Carro porta-barche da ponte.
L’esercito italiano e quello austro-ungarico utilizzarono ampiamente ponti su barche per superare corsi d’acqua anche impegnativi, come l’Isonzo all’inizio del conflitto o il Tagliamento e il Piave da parte degli austro-tedeschi in avanzata dopo lo sfondamento di Caporetto. Le barche venivano fissate e ancorate una all’altra e su di esse veniva inchiodato l’assito che permetteva a uomini e mezzi di oltrepassare il corso d’acqua. Il carro esposto non presenta marchi o punzonature militari.
C.T. 5983

Austria-Ungheria, Bombarda (Minenwerfer Böhler ) 22,5 cm Mod. 1915 ad avancarica, gittata massima 1100 m.
L’esemplare esposto, con il proiettile in canna, da targa apposta risulta essere stato trasformato in “Trofeo del Sabotino” per il 34° reggimento Artiglieria da campagna, donato dal duca Emanuele Filiberto di Savoia per ricordare la presa di Gorizia (agosto 1916).
C.T. 6243

Austria-Ungheria, Cannone Skoda 152/37 Mod. 1916, gittata massima 2180 m. canna e affusto su carri-trasporto.
Il cannone veniva trasportato per mezzo di auto trattrici, affusto e canna montati su vetture in acciaio e ferro, composte da un telaio con due ruote fisse e due sterzanti e da una slitta per il carico e il trasporto della canna. L’esemplare esposto, preda bellica ricondizionata dall’Esercito italiano nel dopoguerra, risulta essere stato utilizzato fino al 1945.
C. T. 5959-5960

Francia, Obice Schneider 155/14 Mod. 1917, gittata massima 11300 m.
Costruito dalla fabbrica Schneider et Cie in oltre 700 unità, l’obice 155/14 Mod. 1917 fu tra i migliori pezzi pesanti campali prodotti nel corso del conflitto. Di grande stabilità e di lunga gittata, venne utilizzato anche dall’esercito americano e da molti altri eserciti, compreso quello italiano, anche nel secondo conflitto mondiale.
C. T. 6429

Italia, Obice 149/12 Mod. 1914, gittata massima 6800 m.
Prodotto su licenza Krupp dalla Vikers Terni di La Spezia, l’obice 149/12 Mod. 1914 costituì l’artiglieria di corpo d’armata standard dell’Esercito italiano all’entrata in guerra. Trainato da cavalli o da automotrici, era apprezzato per la robustezza e la possibilità di tiro arcuato.
Venne utilizzato anche nella campagna d’Africa (1935/36) e nella Seconda guerra mondiale.
C.T. 5960

Italia, Autoblinda Ansaldo-Lancia 1Z.
Costruita dal 1915 al 1918 in 137 esemplari, l’autoblinda era armata con 3 mitragliatrici Maxim mod. 1906. Dotata di un motore a quattro cilindri a benzina da 4950 cc, potenza 60 Hp, velocità massima su strada 60 km/h, serbatoio da 100 l, autonomia 300 km. Venne utilizzata anche nella campagna d’Africa e nella Seconda guerra mondiale.
L’esemplare esposto (con dischi e pneumatici del dopoguerra), recuperato dall’Henriquez dalla caserma “Ettore Muti” di via Rossetti (Trieste) il 16 ottobre 1945, risulta essere stata utilizzata dagli austriaci dopo Caporetto e successivamente dalla Milizia fascista.
C. T. 6030

Italia, Autocarro Fiat BL 18.
Costruito dal 1915 al 1918 in circa 20.000 esemplari, l’autocarro era dotato di un motore a quattro cilindri a benzina da 5650 cc, potenza 40 Hp, velocità massima su strada 25 km/h, serbatoio da 100 l, autonomia 180 km. Utilizzato fino al 1940, l’esemplare esposto monta dischi e pneumatici.
C. T. 6029

Italia, Carro ippotrainato uso ambulanza.
Utilizzati per il trasporto dei feriti non in grado di camminare dai punti di primo intervento sanitario a ridosso della linea di combattimento agli ospedaletti da campo delle retrovie, nel corso del conflitto i carri di sanità a trazione animale vennero gradualmente sostituiti da più robuste autoambulanze Fiat 15 ter.
C. T. 6032

Germania, Cucina da campo (Feldküche).
Usata nel corso della Prima e della Seconda guerra mondiale, la cucina da campo, composta da un cassone porta marmitte, da una marmitta circolare in cui venivano cucinati i cibi e da tre contenitori scalda vivande, venne tradizionalmente denominata “Gulaschkanone”.
C. T. 6059

Germania, Cannone Krupp 75/27 mm. Mod. 1904.
Il cannone campale Krupp 75/27, su affusto ruotato, aveva una gittata massima di circa 9700 m.
Da alcune scritte rintracciate sulla culatta meccanismo di sparo, l’esemplare esposto risulta essere stato utilizzato dall’esercito ottomano durante la guerra italo-turca del 1911.
C.T. 6043

Italia, Stufa di disinfestazione modello Giannolli.
La stufa, in uso nei corpi di Sanità nella Prima e, con leggere modifiche, nella Seconda guerra mondiale, era utilizzata per disinfettare indumenti e biancherie di feriti e ammalati.
L’esemplare esposto, utilizzato dall’Esercito italiano nella campagna iugoslava (1941-1943), monta pneumatici e parafanghi metallici.
C. T. 6057

Austria-Ungheria, Bossolo navale da 35 cm
Bossolo per canna n. 2 Skoda 35 cm, posizionata su affusto terrestre tra Sistiana e Visogliano nel 1917. Da questo cannone vennero sparati alcuni colpi contro la cittadina di Grado, sede di strutture militari italiane. I proietti di questo cannone e relativi bossoli, all’epoca estremamente costosi, venivano costruiti appositamente dalla fabbrica in base alle necessità. Il bossolo esposto è al momento l’unico esemplare conosciuto.
C.T. 6008

ESTERNO

Germania, Cannone pesante Krupp (Schweres Feldkanone)172 mm su affusto ruotato, in servizio dal 1941, capace di sparare proietti esplodenti di oltre 60 kg ad una gittata massima di 26900 m.
C. T. 5957

COLOPHON


Nuovo allestimento del
Museo della Guerra per la Pace "Diego de Henriquez"

Direzione
Maria Masau Dan

Progetto scientifico
Lucio Fabi

Ricerche di archivio e coordinamento generale
Antonella Cosenzi, conservatore del Museo Diego de Henriquez

Identità visiva del Museo e del percorso espositivo
Polystudio con la collaborazione di Giotto Creative Studio per il progetto di infodesign.

Restauro dei mezzi
Mauro Vita restauro e conservazione, Roveredo in Piano (PN)

Restauro dei manifesti
Centro Studi e Restauro Soc. Coop., Gorizia

Restauro delle uniformi
Laboratorio Restauri d'Arte S.n.c., Trieste

Restauro oggetti e opere d'arte
Maria Teresa Tito
Letizia Ciriello

Consulenza per il materiale bellico
Roberto Todero

Materiali cinematografici
La Cineteca del Friuli, Gemona del Friulli (UD)
Istituto Luce, Roma

Realizzazione video
Alessandro Scillitani

Trasporti
Ter Trans, S.r.l., Trieste

Progettazione tecnica e realizzazione degli allestimenti
Erreci Pubblicità s.n.c., Martignacco (UD)

Allestimenti speciali
A Zeta Iniziative, Trieste
Innocente & Stipanovich, Trieste
Elena Greco, Trieste

Catalogazione, selezione, ordinamento e riproduzione dei materiali
Giorgio Potocco
Roberto Scrignari
Marino Ierman
con
Bruna Zobez
Gabriella Gelovizza
Cristina Zacchigna

Coordinamento amministrativo
Alessia Neri
Sandra Righes
con Norma Vidulich, Michela Martini

Traduzioni
Key Congressi, Trieste
Studio Blitz, Pistoia

Fototeca
Cristina Klarer
Adriana Casertano
Elisa Vecchione

Sicurezza
Mario Fraschilla
Boris Juretic
Giacomo Emanuelli
Cooperativa Sociale La Collina

Interventi spazi esterni
Mari & Mazzaroli, Trieste
Bruno Casertano

Ringraziamenti
Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici del Friuli Venezia Giulia, Soprintendenza Archivistica per il Friuli Venezia Giulia,
Musei provinciali di Gorizia,
La Cineteca del Friuli, Gemona (UD)
Paolo Venier, Lorenzo Michelli, Claudia Morgan,  Gabriella Gabrielli, 
Alessandra Martina, Andrea Spanghero, Roberto Lenardon

Con il sostegno di

Regione Friuli Venezia Giulia

Fondazione Cassa di Risparmio di Trieste

Assicurazioni Generali

Istituto Luce

Cineteca del Friuli









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