La morte di Jannis Kounellis e le macerie culturali di Trieste
La morte di Jannis Kounellis
colpisce e lascia senza fiato tutti coloro che amano l’arte contemporanea. Non
tanto per il fatto in sé, dato che a ottant’anni è abbastanza normale che
succeda, anche se suscita una profonda tristezza in chi l'ha conosciuto, ma perché avevamo ancora bisogno
di Kounellis per pensare che l’arte possa giocare ancora un ruolo centrale nel
tempo in cui viviamo, avevamo bisogno della sua intelligenza, della sua storia, del suo coraggio,
della sua vitalità. Con lui non muore solo un artista, ma si spengono tante
speranze. A Trieste la sua presenza, nel 2013, con la enorme, impressionante
installazione realizzata nell’ex Pescheria, aveva riacceso l’entusiasmo, pubblico e
privato, per l’arte contemporanea. Sembrava aprirsi una fase nuova, per la
città, per l’ex Pescheria, sempre in cerca di un ruolo, e per le politiche
culturali comunali, come emerge nei comunicati di allora.
Ma già qualche giorno dopo l’inaugurazione, il 6 settembre 2013, uno dei momenti
più alti della vita culturale recente di Trieste, l’allora Sindaco Cosolini gelò tutti con un'avvilente querelle pubblica con l'assessore alla cultura Franco Miracco, e spense la luce: la Pescheria non aveva un futuro nell’arte contemporanea, era
destinata a diventare Museo della scienza.
Purtroppo, quattro anni dopo quelle
decisioni, non è diventata nulla, è ancora un luogo vuoto dove nessuno sa cosa
fare e, tanto meno, tracciare un percorso a lungo termine.
Non c’è alcun dubbio: la mostra di Kounellis del 2013 è il simbolo tragico del fallimento di tutte le “politiche” culturali (se così si possono definire gli incoerenti percorsi attuati dalle diverse amministrazioni) che si sono susseguite dal 2006 a oggi. E sono passati più di dieci anni da quando l’ex Pescheria centrale, assunto il più nobile nome di “Salone degli Incanti”, è stata aperta al pubblico per un futuro di grandi mostre dopo un costosissimo restauro.
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