Ma, nei musei, mancano solo le didascalie in inglese?



Il limite di certi giornalisti (o aspiranti tali) che fanno inchieste, specialmente di quelli che si dedicano agli enti pubblici e alle loro inefficienze, è che prendono nota degli effetti ma non si impegnano nemmeno un po’ ad analizzare le cause. Il risultato di riempire in qualche modo la pagina è più facile e più rapido se si sposa una tesi – di solito scontata e popolare – si trova qualche minimo appiglio e poi si sfrutta l’insoddisfazione o, magari anche l’indignazione dell' utente, sempre disponibile a farsi intervistare e ad emettere la scontata sentenza di condanna di chi è stipendiato dal contribuente ma non fa nulla.

Riserva di caccia ideale per questo tipo di “blitz” è il campo della cultura, su cui si può dire tutto e il contrario di tutto: numeri inventati, successi (o insuccessi) valutati coi metri più disparati, sprechi di denaro misurati a capocchia, appuntamenti non rispettati, dimenticanze di anniversari o di personaggi magari insignificanti ma giudicati fondamentali solo dal cronista, confusione fra i soggetti e le loro competenze.

Uno dei temi più amati dal giornalismo “culturale” d’assalto, ad esempio, è quello delle chiusure dei musei nelle festività a Ferragosto, Natale, Capodanno e Pasqua. Aprire i musei in queste festività ha un senso se c’è un certo flusso tutto l’anno ma nel caso dei musei minori, quelli che non arrivano a 10 visitatori al giorno, si può anche lasciarli chiusi senza troppo danno, e con risparmio di lavoro straordinario. Eh no! Se capita la famigliola che il 15 agosto passa di lì e vuole vedere proprio quello, succede il finimondo. Scandalo, proteste, lettere al giornale sulle falle della “città turistica”

Oggi tocca alle didascalie in inglese, che, secondo il quotidiano “Il Piccolo” mancano nella metà dei musei di Trieste. A parte il fatto che non è proprio così, e leggendo l’articolo questo emerge visto che si ammette l’esistenza di app e audioguide in inglese e altre lingue (come se al Moma di New York si preoccupassero di mettere le didascalie in tutte le lingue: ovviamente chi ne ha necessità si noleggia l’audioguida! È piuttosto normale!), va detto che ogni museo è un caso diverso e non ci sono pinacoteche in cui ogni opera è spiegata in due lingue! Forse i giornalisti dovrebbero passare prima nei grandi musei e vedere quali sono i modi in cui vengono offerte le traduzioni, di sicuro non a livello di didascalia …

Ma al di là di questo (anche se si dovrebbe pretendere che chi scrive di istituzioni culturali ne conosca almeno un po’ il funzionamento e non scriva semplicemente “da utente” perché allora la funzione giornalistica di mediazione non serve davvero a nulla, basta facebook) si è chiesta l’autrice dell’articolo il perché di questa situazione? E’ proprio certa che sia frutto di trascuratezza degli addetti ai lavori? Sa quanto personale hanno oggi i musei, dopo i pensionamenti, le mancate sostituzioni, gli accorpamenti?

Nessuno parla di questo ma i musei - a Trieste e altrove - si stanno vuotando di competenze e specializzazioni e lo dimostra anche il rallentamento di tutte le attività, la ricerca scientifica, la didattica, la comunicazione, le attività espositive, l’editoria …

Alle amministrazioni comunali, non solo a Trieste, ma un po’ dappertutto, interessa solo che i musei siano aperti, come semplici mausolei fermi nel tempo. E a questo scopo di spendono cifre enormi per le cooperative di sorveglianza.
Ma ciò che questi contengono e mostrano, il patrimonio, il "core business", chiamiamolo come vogliamo, non è più gestibile (men che meno incrementabile) e in effetti non è gestito. 
Non ci sono soldi né personale, e non ci saranno neppure in futuro. Né in italiano né in inglese.


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