Bison al Museo Sartorio: immagini della mostra
“Più d’uno dei nostri signori ama adornare le
proprie abitazioni non solo con ritratti di famiglia ma con variate
composizioni. V’ha chi possiede una bella collezione di vedute di quel Bisson,
che visse tanti anni tra noi, ed il quale aveva tutto l’estro e la fantastica
eccentricità degli artisti di genio”. La citazione è tratta da “L’Osservatore
triestino” dell’8 dicembre 1838 e dimostra che parecchi anni dopo la sua
partenza per Milano, avvenuta nel 1831, in città era ancora vivissimo il
ricordo di Giuseppe Bernardino Bison (1762-1844) un artista versatile e
brillante che nei suoi trent’anni di vita a Trieste aveva conquistato
facilmente il collezionismo locale, anzi probabilmente lo aveva creato,
offrendo una produzione che sembrava tagliata su misura della borghesia
emergente. E fu così apprezzato dai collezionisti, e forse non così esigente,
da assicurarsi acquisti ripetuti e cospicui, come avvenne con il famoso
proprietario del Caffè Tommaso, il padovano Tommaso Marcato, “mecenate e
proteggitore” delle arti, che secondo il periodico “La Favilla” (gennaio 1840)
possedeva una raccolta interessante di dipinti, “né mica acquistati dagli antiquarii, ma
commessi a bella posta”, tra cui “150 Bisson, due de’ quali molto buoni in
grande – la piazzetta e la dogana di Venezia…”. Con le sue vedute, i paesaggi, i
capricci, Bison aveva importato a Trieste le atmosfere veneziane e fatto
scoprire i piccoli formati, adatti alle abitazioni sempre più eleganti e
confortevoli che i “signori” di Trieste, grazie alle ricchezze accumulate con i
commerci, si stavano costruendo tra il colle e la riva del mare.
Il Museo Sartorio, dove è ospitata
la mostra di Giuseppe Bernardino Bison, è una di queste dimore, e ancor oggi,
grazie alla perfetta conservazione dei suoi interni e delle sue collezioni,
rispecchia il mondo della Trieste neoclassica, ma in qualche misura già
Biedermeier, in cui il pittore si affermò. Non a caso, assieme alle numerose
opere pervenute al museo da diverse collezioni, Rusconi, Gatteri, Currò, vi si
conservano due fantasiose sovrapporte di Bison nella sala da pranzo del primo
piano. Una sede ideale, dunque, per la prima mostra che Trieste dedica al
pittore maggiormente legato al suo sviluppo monumentale, anche se al centro
dell’interesse qui c’è solo la sua attività “privata”.
La mostra offre anche la prima
occasione per riunire, nel nome di Bison, la collezione dei Civici musei di
storia ed arte e quella del Museo Revoltella, dove si conservano altre tempere
dell’artista, capricci, bozzetti per il teatro, soggetti storici, schizzi per
decorazioni, a loro volta provenienti da importanti lasciti, come ad esempio
quello di Carlo e Maria Piacere. Se il Museo Sartorio, con i suoi arredi
settecenteschi e le altre testimonianze pittoriche veneziane, tra cui i 253 disegni
di Tiepolo raccolti da Giuseppe Sartorio, rappresenta proprio l’epoca e la
società in cui visse Giuseppe Bernardino Bison (sorvolando sul fatto che
quest’abitazione entrò in possesso di un membro della famiglia nel 1836, cioè
quando il pittore era ormai da tempo a Milano), il Museo Revoltella è invece
frutto di una fase successiva, più improntata di modernità e lontana dal
neoclassicismo e, ancor più, da echi veneziani. Qui Bison entra solo con le
donazioni o gli acquisti successivi alla fondazione, mentre è assente dalla
collezione del proprietario. E comunque non supererà facilmente l’esame del
Curatorio. Basti ricordare l’episodio del giugno 1876 quando il Curatorio si
trovò a esaminare una “Caccia al toro” di Bison offerta in vendita dal sig.
Agostino Poli. Intervenne il pittore Gatteri il quale, pur “encomiando il
quadro in molte sue parti e particolarmente nel modo di trattare le macchiette
in cui il Bisson era maestro” fece osservare “che stando alla massima presa
di non acquistare che quadri di merito
reale e saliente, l’acquisto di questo dipinto non sarebbe corrispondente a
tale deliberato”. Pertanto a maggioranza di voti l’acquisto fu rifiutato.
Oggi fortunatamente il giudizio
della critica su Bison è più equilibrato e la sua opera ha riconquistato la
posizione che le compete.
Maria Masau Dan
(introduzione al catalogo)
fotografie
Marino Ierman
Commenti
Posta un commento