La sezione delle ceramiche riaperta con un nuovo allestimento
Sotto il titolo "Ceramica italiana dal Medioevo all'Ottocento dalle collezioni dei Civici Musei" è stata riaperta ieri, 18 aprile, la sezione dedicata alla ceramica nel sotterraneo del Museo Sartorio.
Il prezioso e vario vasellame proviene dalle più importanti manifatture italiane e si completa con esempi di produzione inglese e triestina.
Si tratta di circa duecentocinquanta pezzi scelti tra i moltissimi di proprietà dei Civici Musei di Storia ed Arte, in massima parte frutto di lasciti di alcune famiglie triestine, quali Sartorio, Morpurgo, Currò e Rusconi, e solo in minima parte acquistati e donati occasionalmente.
Negli anni Sessanta del ‘900 tutto questo materiale – piatti, alzate, crespine, coppe, tazze, boccali, contenitori da farmacia – venne studiato con grande dedizione da Bianca Maria Favetta, conservatore dei Musei di storia ed arte di Trieste, e infine esposto nel 1966; da allora il nucleo è stato diversamente presentato e aggiornato scientificamente.
Fino allo scorso dicembre la collezione era esposta nelle quattro sale del piano terra della Villa Sartorio dove ora sono state collocate le ventuno opere provenienti dall’Istria (con alcuni capolavori di Paolo Veneziano, Vittore Carpaccio e Giambattista Tiepolo) in deposito dal Ministero per i Beni Culturali che dal 2008 si trovavano nel sotterraneo.
Si è deciso di “scambiare” le posizioni delle due collezioni per assicurare migliori condizioni espositive ai dipinti e alle sculture dell’Istria, mentre per le ceramiche la collocazione nel sotterraneo non presenta aspetti problematici, anzi, grazie al rinnovo delle vetrine e a una sequenza lineare, viene maggiormente valorizzata.
Il nuovo allestimento, curato da Lorenza Resciniti, evidenzia la produzione di diverse aree geografiche.
L'esposizione inizia con alcuni esempi di cosiddetta maiolica arcaica del ‘400 prodotta a Orvieto ed alcuni straordinari manufatti provenienti da Faenza; seguono boccali eseguiti a Pesaro e a Deruta, caratterizzati dalla decorazione a grottesche.
Si passa poi all'esemplificazione delle manifatture pisana e di Montelupo con soli tre pezzi, mentre accanto è rappresentato il Veneto, la sua produzione dal XV al XVIII secolo, con il culmine raggiunto dalle officine di Bassano e Nove.
Il resto dell’Italia trova spazio nelle vetrine successive: le forme sia semplici che complesse, dominate dalla monocromia del blu, della produzione ligure; i rinomati manufatti della famiglia Grue di Castelli d’Abruzzo; i piatti e gli albarelli dai motivi geometrici di ispirazione araba dell’Italia meridionale.
A conclusione le ultime quattro vetrine espongono settanta notevoli esemplari della ceramica triestina degli ultimi tre decenni del Settecento.
Il prezioso e vario vasellame proviene dalle più importanti manifatture italiane e si completa con esempi di produzione inglese e triestina.
Si tratta di circa duecentocinquanta pezzi scelti tra i moltissimi di proprietà dei Civici Musei di Storia ed Arte, in massima parte frutto di lasciti di alcune famiglie triestine, quali Sartorio, Morpurgo, Currò e Rusconi, e solo in minima parte acquistati e donati occasionalmente.
Negli anni Sessanta del ‘900 tutto questo materiale – piatti, alzate, crespine, coppe, tazze, boccali, contenitori da farmacia – venne studiato con grande dedizione da Bianca Maria Favetta, conservatore dei Musei di storia ed arte di Trieste, e infine esposto nel 1966; da allora il nucleo è stato diversamente presentato e aggiornato scientificamente.
Fino allo scorso dicembre la collezione era esposta nelle quattro sale del piano terra della Villa Sartorio dove ora sono state collocate le ventuno opere provenienti dall’Istria (con alcuni capolavori di Paolo Veneziano, Vittore Carpaccio e Giambattista Tiepolo) in deposito dal Ministero per i Beni Culturali che dal 2008 si trovavano nel sotterraneo.
Si è deciso di “scambiare” le posizioni delle due collezioni per assicurare migliori condizioni espositive ai dipinti e alle sculture dell’Istria, mentre per le ceramiche la collocazione nel sotterraneo non presenta aspetti problematici, anzi, grazie al rinnovo delle vetrine e a una sequenza lineare, viene maggiormente valorizzata.
Il nuovo allestimento, curato da Lorenza Resciniti, evidenzia la produzione di diverse aree geografiche.
L'esposizione inizia con alcuni esempi di cosiddetta maiolica arcaica del ‘400 prodotta a Orvieto ed alcuni straordinari manufatti provenienti da Faenza; seguono boccali eseguiti a Pesaro e a Deruta, caratterizzati dalla decorazione a grottesche.
Si passa poi all'esemplificazione delle manifatture pisana e di Montelupo con soli tre pezzi, mentre accanto è rappresentato il Veneto, la sua produzione dal XV al XVIII secolo, con il culmine raggiunto dalle officine di Bassano e Nove.
Il resto dell’Italia trova spazio nelle vetrine successive: le forme sia semplici che complesse, dominate dalla monocromia del blu, della produzione ligure; i rinomati manufatti della famiglia Grue di Castelli d’Abruzzo; i piatti e gli albarelli dai motivi geometrici di ispirazione araba dell’Italia meridionale.
A conclusione le ultime quattro vetrine espongono settanta notevoli esemplari della ceramica triestina degli ultimi tre decenni del Settecento.
CERAMICA TRIESTINA DEL SETTECENTO
Nella vetrine sono esposti esemplari notevoli della ceramica triestina:
vasellame in terraglia fine, caratterizzato dall’equilibrio e dall’armonia
delle superfici eburnee, lisce e prive di cromatismi, dai delicati ornati a
traforo e dalla nitidezza dei rilievi.
La prima vetrina accoglie alcuni manufatti della nota produzione
inglese di Josiah Wedgwood (Burslem, Staffordshire 1730-1795), famoso per i gres
con decorazioni a cammeo e per la straordinaria invenzione delle terraglie
dagli impasti bianchi e purissimi, dalla vernice trasparente e prive di
decorazioni dipinte, che influenzarono la produzione triestina del ‘700.
A Trieste, infatti, nel 1773 Giacomo Balletti aprì nella zona della dei
Santi Martiri (quindi accanto a questa villa), con una concessione privativa
decennale dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria, una fabbrica di maioliche e faianse
dipinte, su ispirazione di quelle inglesi. Nel 1776 Balletti la vendette a
Pietro Lorenzi, che ne continuò
l’attività. Esattamente dieci anni dopo, nel 1783, scaduta la privativa,
aprirono altre due fabbriche, quella di Giuseppe Santini e Ludovico Sinibaldi e
quella di Mattia Filippuzzi a dimostrare il successo e la richiesta di questo
prodotto. Le fabbriche tuttavia chiusero nel 1813, causa l’occupazione francese
della città, e non riaprirono più. Un lavorante di queste partì per Bassano
portando con se la formula e vi aprì una fabbrica.
Oggi nella città veneta questa particolare ceramica bianca viene ancora
prodotta.
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