Veglioni e feste di Carnevale nei teatri
«Grande cavalchina mascherata: veglioni e feste di
carnevale all’ombra dei teatri triestini» è il titolo della conversazione
proposta per domani 11 febbraio alle ore 17.30 da Cristina Zacchigna nell’ambito
dei “Lunedì dello Schmidl”. Anche il Civico Museo Teatrale infatti
‘festeggia’ il carnevale, parlando della tradizione cittadina attraverso i documenti conservati nei suoi archivi.
L’uso di festeggiare il periodo carnevalesco con balli mascherati pubblici e privati è per Trieste una tradizione antica >>>
che risale al Trecento e che si può leggere attraverso l’usanza di “andar in sala” che significava andare al Veglione mascherato, dapprima ai balli del Ridotto del Teatro San Pietro, poi nella sala maggiore del Ridotto del Teatro Grande, poi, dal 1879, con gli allestimenti dei balli al Politeama Rossetti: il ballo del popolo o ballo “cassòn” – come veniva comunemente chiamato per indicare che ci poteva entrar di tutto -, il veglione mascherato e lo sfarzosissimo Ballo dei Fiori del martedì grasso. Pur di far partecipare le proprie figlie in età da marito ai balli mascherati, le famiglie si indebitavano, come recita una famosa canzonetta popolare «De soto de la flaida le braghe i ga straponte, i ga ‘l capoto al Monte [di pietà n.d.r.] ma i vol far Carneval».
Nella foto: l’allestimento
realizzato dal Circolo Artistico all’interno del Teatro Verdi in occasione
della Grande cavalchina mascherata «Una notte a Venezia» per raccogliere i
fondi per il busto di Verdi da collocare nell'atrio del Teatro. Trieste, 19
febbraio 1908.
L’uso di festeggiare il periodo carnevalesco con balli mascherati pubblici e privati è per Trieste una tradizione antica >>>
che risale al Trecento e che si può leggere attraverso l’usanza di “andar in sala” che significava andare al Veglione mascherato, dapprima ai balli del Ridotto del Teatro San Pietro, poi nella sala maggiore del Ridotto del Teatro Grande, poi, dal 1879, con gli allestimenti dei balli al Politeama Rossetti: il ballo del popolo o ballo “cassòn” – come veniva comunemente chiamato per indicare che ci poteva entrar di tutto -, il veglione mascherato e lo sfarzosissimo Ballo dei Fiori del martedì grasso. Pur di far partecipare le proprie figlie in età da marito ai balli mascherati, le famiglie si indebitavano, come recita una famosa canzonetta popolare «De soto de la flaida le braghe i ga straponte, i ga ‘l capoto al Monte [di pietà n.d.r.] ma i vol far Carneval».
Tra i numerosi
circoli privati che contribuivano ad organizzare feste danzanti per bambini
(detti “delle bambole”) e adulti spicca il Circolo Artistico che, tra burlate,
iniziative fantasiose, mascherate a tema e scherzi di diverso genere di cui
parla Carlo Wostry nella sua esilarante «Storia del circolo artistico»,
idearono e organizzarono, con il contributo di Carlo Schmidl, il Concorso della
canzone popolare triestina, che dal 1890 verrà indetto ogni anno nel periodo
carnevalesco e che darà alla luce i più celebri Leitmotive dei veglioni
mascherati e della tradizione popolare triestina.
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