Veglioni e feste di Carnevale nei teatri


che risale al Trecento e che si può leggere attraverso l’usanza di “andar in sala” che significava andare al Veglione mascherato, dapprima ai balli del Ridotto del Teatro San Pietro, poi nella sala maggiore del Ridotto del Teatro Grande, poi, dal 1879, con gli allestimenti dei balli al Politeama Rossetti: il ballo del popolo o ballo “cassòn” – come veniva comunemente chiamato per indicare che ci poteva entrar di tutto -, il veglione mascherato e lo sfarzosissimo Ballo dei Fiori del martedì grasso. Pur di far partecipare le proprie figlie in età da marito ai balli mascherati, le famiglie si indebitavano, come recita una famosa canzonetta popolare «De soto de la flaida le braghe i ga straponte, i ga ‘l capoto al Monte [di pietà n.d.r.] ma i vol far Carneval».
Tra i numerosi
circoli privati che contribuivano ad organizzare feste danzanti per bambini
(detti “delle bambole”) e adulti spicca il Circolo Artistico che, tra burlate,
iniziative fantasiose, mascherate a tema e scherzi di diverso genere di cui
parla Carlo Wostry nella sua esilarante «Storia del circolo artistico»,
idearono e organizzarono, con il contributo di Carlo Schmidl, il Concorso della
canzone popolare triestina, che dal 1890 verrà indetto ogni anno nel periodo
carnevalesco e che darà alla luce i più celebri Leitmotive dei veglioni
mascherati e della tradizione popolare triestina.
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